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Pnrr, le Elezioni 2023 e il pericolo dei tempi sfasati

di Sergio Fabbrini

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(ANSA)

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7 febbraio 2022
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4' di lettura

Giovedì scorso, nel suo discorso al Parlamento dopo il giuramento, il presidente Sergio Mattarella ha rimarcato come «l'Italia (sia) al centro dell'impegno di ripresa dell'Europa. Siamo i maggiori beneficiari del programma Next Generation e dobbiamo rilanciare l'economia all'insegna della sostenibilità e dell'innovazione, nell'ambito della transizione ecologica e digitale». Per farlo, però, dobbiamo superare non pochi ostacoli, il più insidioso dei quali è di natura politica. Vediamo perché. Il programma di Next Generation Eu (Ng-Eu), con i fondi del Dispositivo di finanziamento per la ripresa e la resilienza assegnati ai vari Paesi, va realizzato tra il 2021 e il 2026. I Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr) sono organizzati sulla base di riforme (milestones) e obiettivi (targets) da raggiungere in modo scadenzato durante quel periodo. Il pagamento dei fondi è sottoposto al conseguimento di risultati così come stabiliti nel singolo Pnrr.

Dopo l'approvazione del proprio Pnrr, ogni Stato membro ha firmato un “Operational Arrangement” (Oa) con la Commissione europea, in cui sono stati definiti gli impegni presi dal singolo governo nazionale e in cui sono specificati i tempi per i pagamenti europei sulla base dei risultati conseguiti. Il governo italiano ha firmato il suo Oa il 23 dicembre scorso. Tutti i Pnrr prevedono impegni per riforme verticali (nei singoli settori, come la giustizia, la scuola, la pubblica amministrazione) e per riforme orizzontali (che attraversano più settori, come la riforma fiscale o del mercato del lavoro). Il nostro Pnrr è tra i più dettagliati, in quanto prevede obiettivi di risultato molto precisi, una precisione necessaria dato che il nostro è il più consistente tra i Pnrr (ci è stato assegnato più di 1/3 dei fondi di Ng-Eu). Come gli altri Pnrr, anche il nostro prevede una distinzione scadenzata tra la fase iniziale (primi tre semestri, luglio 2021-dicembre 2022) e la fase successiva (2023-2026). Nella fase iniziale, gli impegni hanno una natura principalmente legislativa e regolatoria (approvazione parlamentare o amministrativa delle riforme relative agli assetti che ostacolano la ripresa) mentre, nella fase che inizia con il 2023, gli impegni hanno una natura direttamente operativa (implementazione delle riforme e realizzazione degli investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi). La Commissione europea ha un ruolo centrale in questo processo. Dopo aver sentito il parere del Comitato economico e finanziario (costituito di alti funzionari dei ministeri nazionali dell'Economia e delle finanze), spetta ad essa proporre al Consiglio dei ministri dell'Economia e delle finanze (Ecofin), che delibera a maggioranza qualificata, il disborso periodico dei fondi ad ogni singolo Stato membro. La Commissione può anche proporre di interrompere il disborso, se ritiene che uno Stato membro non rispetti gli impegni presi. In tal caso, la sua decisione diventa operativa, a meno che il Consiglio Ecofin non la contraddica con il voto a maggioranza qualificata. È prevista la possibilità che «obiettive circostanze» obblighino uno Stato membro a rivedere il proprio Pnrr, ma difficilmente rientrerebbero in tale fattispecie le modifiche del Pnrr volute da una nuova maggioranza parlamentare.

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Arriviamo così al paradosso del ciclo elettorale. Per fortuna, la democrazia funziona sulla base di regolari e libere elezioni, così da consentire (se così ritiene la maggioranza degli elettori) il regolare e libero ricambio dei governanti e del loro programma. Tuttavia, se così avverrà, con le elezioni che terremo la primavera del 2023, cosa succederebbe al nostro Pnrr, già operativo da quasi due anni? Certamente, l'attuale Pnrr può essere interpretato come il programma di governo dell'attuale maggioranza parlamentare, esito del “sacrificio” che ogni partito ha accettato di fare pur di rendere possibile la convergenza nazionale intorno al governo Draghi. È ipotizzabile, però, che già nella campagna elettorale dei prossimi mesi ogni singolo partito non sia più disposto a giustificare i propri “sacrifici”, così come è ipotizzabile che si possa formare nel 2023 una maggioranza elettorale che non voglia rispettare alcuni degli impegni presi, dall'attuale maggioranza, con il Pnrr. Se così avverrà, addio crescita del Paese. Ecco perché la non-coincidenza tra il ciclo elettorale e il ciclo del Pnrr costituisce un'ipoteca politica sulla nostra ripresa e modernizzazione. Così non è in Germania, dove la nuova maggioranza, formatasi nel dicembre 2021, potrà governare fino alla fine del 2025, quasi alla scadenza del programma di Ng-Eu. Così non sarà in Francia, dove il nuovo presidente e la nuova maggioranza, che si formeranno nella primavera 2022, potranno governare fino al 2027, oltre la scadenza di Ng-Eu. Nel nostro caso, non solamente le elezioni si svolgeranno in una fase cruciale di implementazione del Pnrr, ma verranno condotte da partiti destrutturati.

Cosa fare per conciliare la nostra crescita (il Pnrr) con la nostra democrazia (le elezioni)? Insomma, ha ragione il presidente Mattarella a sostenere che Ng-Eu rappresenti un'opportunità storica per rilanciare l’Italia. Per cogliere tale opportunità, però, occorre garantire la continuità e la coerenza del Pnrr fino al 2026. Spetta alle leadership politiche trovare modalità innovative per ridurre l'impatto divisivo delle elezioni del 2023, oltre che della campagna elettorale che le precederà. Se ci riusciranno, facendo crescere il Paese, potranno far crescere anche la loro legittimità.

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