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Quanto vale l'economia delle piattaforme digitali

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25 maggio 2023
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5' di lettura

 Le imprese nel settore della ristorazione, del turismo e dei trasporti che utilizzano piattaforme digitali per vendere i propri servizi e prodotti sono sempre di più. Si parla di Economia delle piattaforme digitali (Platform Economy) per indicare questo insieme di nuovi modelli di business dove le tecnologie digitali giocano un ruolo centrale. Non si tratta solo di e-commerce, ma di qualcosa di più asofisticato. Un esempio: se il cliente accetta di condividere i propri dati, al momento dell’acquisto o iscrivendosi a un servizio di newsletter, l’azienda può utilizzarli per creare e proporre un’offerta in linea con ciò che l’utente desidera.

Platform Economy è sinonimo di API (application programming interface) che non sono altro che sistemi di programmazione integrare dati, applicazioni e dispositivi di modo che sia più agevole scambiare informazioni fra nodi della rete, per esempio fra un’app scaricata dal cliente sul proprio smartphone e il sistema di vendita dell’azienda.

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L’economia delle piattaforme si basa anche su sistemi di Big Data Analytics e Intelligenza Artificiale per analizzare il comportamento degli utenti che interagiscono con l’impresa, e Sensori e reti IoT (ad esempio su dispositivi indossabili come gli smartwatch) per una customer experience più immediata.

Quanto sta crescendo questo mercato

 Secondo quanto riporta il Consiglio Europeo, in Europa nel 2016 il mercato delle piattaforme digitali era stimato essere pari a 3 miliardi di euro di ricavi, che erano già saliti a 14 miliardi nel 2020 allo scoppio della pandemia. Il 75% di questi ricavi provenivano dai taxi e dalle piattaforme di food delivery, che ha visto una crescita dei propri ricavi del 125% durante i lockdown del 2020.

Statista stima una crescita a livello mondiale a partire dal 2017 che ha toccato quota 40,2 miliardi di dollari nel 2022 – sempre in termini dei ricavi (revenues). Un altro studio, redatto da Accenture, di inizio 2022, aveva rilevato che l'industria globale del social commerce che oggi vale 492 miliardi di dollari dovrebbe crescere tre volte più velocemente del semplice e-commerce tradizionale, fino a raggiungere i 1,2 trilioni di dollari entro il 2025.

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Sempre le stime di Statista prevedono che le entrate nel segmento Platform as a Service raggiungeranno i 113,30 miliardi di dollari nel 2023 con un tasso di crescita annuale del 16,74%, con un volume di mercato di 210,40 miliardi di dollari entro il 2027. In questo confronto globale, la maggior parte delle entrate dovrebbe essere generata negli Stati Uniti (57.850 milioni di dollari solo nel 2023).

L’Europa non è affatto indietro in questa corsa. Più di 500 piattaforme  digitali sono ora operative nell’Unione Europea, ma sebbene la maggior parte delle piattaforme operanti in UE sia stata creata in Europa, esse competono con le piattaforme internazionali, basate principalmente in Nord America (che rappresentano ben il 12% di quelle che usamo in Europa).

Vincono quasi tutti

 L’idea di fondo della Platform Economy è che nell’ottica della vendita dovrebbero vincere (quasi) tutti: i consumatori consumano più agevolmente, generando maggior ricavi rispetto a quelli derivanti unicamente da contatti con il cliente non digitali.

Secondo una survey di INAPP - Inapp Digital Platform Survey (Inapp DPS 2022) - presentata a maggio 2023 che ha coinvolto quasi 300 mila imprese nella ristorazione, nel turismo e nei trasporti, una su cinque utilizza questi sistemi per intercettare la clientela. Nel settore turistico siamo addirittura al 42,1% di imprese che lavorano nella Platform Economy. 

Chiaramente non è tutto oro per le aziende. Scegliere di passare a questi sistemi ha un costo. In quasi la metà dei contratti stipulati dalle imprese utilizzatrici con le piattaforme sono presenti clausole di dipendenza dell’impresa dalla piattaforma per l’incasso dei pagamenti, mentre nel 46,1% dei casi esse consentono l’incasso diretto dalla clientela.

 Chi mette a disposizione queste piattaforme ci trae un grande guadagno. Le commissioni richieste ammontano mediamente al 16,5% del fatturato intermediato dalle piattaforme digitali nel 2020, e al 16,7% nel 2021. “Esiste un rischio di dipendenza tecnologica, economica e finanziaria delle imprese dalle piattaforme, che richiama, anche se in misura ridotta, lo stesso rapporto sbilanciato che queste hanno coi lavoratori” racconta Sebastiano Fadda, Presidente di INAPP. Al 32% delle aziende della ristorazione e al 19% nel settore del turismo è capitato almeno una volta di perdere clienti per disservizi causati dalle piattaforme con cui lavorano, fino ai ritardi nei tempi di incasso dei pagamenti mediati dalle piattaforme.

 Una crescita siffatta significa anche un’evoluzione del mercato del lavoro, ossia sempre più persone impiegate in settori legati alla rete. Secondo il rapporto The platform economy in Europe di Etui, coloro che nel 2021 hanno lavorato su Internet nei 12 mesi precedenti l’intervista rappresentano 17% di tutti gli intervistati. Un un quarto di loro – il 4,3% del totale - ha dichiarato di aver svolto questo lavoro attraverso una piattaforma online. Il resto di questi lavoratori di Internet (il 12,6% di tutti gli intervistati) hanno svolto compiti che non sono direttamente classificati come internet jobs ma che utilizzano comunque la rete per parte della propria giornata.

 Il lato oscuro della Luna sono le condizioni di lavoro dei tanti che lavorano nella Platform Economy, in particolare nel delivery. Si tratta di un tema centrale nella definizione di un sistema realmente inclusivo. Secondo un documento dell’International Labour Organization (ILO) dal titolo Decent work in the platform economy (dicembre 2022), la crescita della platform economy e del platform work rappresenta un'opportunità di lavoro creazione e organizzazione più flessibile dei processi produttivi, ma anche una sfida in termini di concorrenza leale tra le imprese e  di tutela occupazionale e sociale protezione per i lavoratori che siano coerenti con gli standard di lavoro dignitoso.

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I dati del Consiglio Europeo mostrano che il 55% di chi lavora nella Platform Economy guadagna meno di quello che nel proprio paese è considerato come salario minimo, e il 41% del tempo a loro richiesto è di fatto non retribuito, ad esempio il tempo di attesa fra una consegna e l’altra in chi lavora nelle consegne a domicilio. Uno su cinque di questi lavoratori è classificato come “freelance” mentre in realtà svolge lavoro da dipendente, pur non avendo alcun diritto che invece sarebbe garantito con un contratto di lavoro dipendente. Il Platform economy database dell’EuroFound, strumento dell’Unione Europea per monitorare i diritti dei lavoratori, che contiene informazioni su 300 casi giudiziari che rguardano la Platform Economy, rileva che a Milano una società di delivery con sede in Unione Europea è stata condannata dal tribunale del lavoro  a reintegrare un licenziato come dipendente a tempo pieno. La Corte ha ritenuto che il rider debba avere tutti i diritti di un lavoratore dipendente, in quanto tale, il singolo sarà reintegrato alle condizioni del contratto collettivo di 1.400 euro al mese per 14 mesi, oltre al rimborso dello stipendio perduto e al pagamento delle spese per il procedimento.

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