di Marcello Minenna
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Nel 2021 il lungo ciclo decennale di accumulo/smaltimento dei crediti deteriorati (non performing loans, NPL) in Italia ed Europa sembra giunto al termine. Le stime di mercato più recenti per il 2022 prevedono infatti un nuovo aumento dello stock di NPL nei bilanci delle banche, derivanti dalle conseguenze della pandemia e dal graduale smantellamento delle misure di contrasto alla crisi, come moratorie e prestiti agevolati alle imprese.
Le previsioni però non sono fosche, anche se non tengono ancora conto dell'impatto che potrebbe avere il conflitto russo-ucraino, se protratto nel tempo: secondo gli analisti del settore lo stock complessivo di crediti deteriorati nei bilanci dell'intero settore privato italiano dovrebbe passare dal minimo attuale di 369 miliardi di € ad un massimo di 402 miliardi nel 2024. Si tratterebbe di un ciclo breve e limitato nelle dimensioni, a differenza di quanto accaduto nel corso del decennio 2009-2019, durante il quale lo stesso indicatore è arrivato a massimi ampiamente superiori ai 1.000 miliardi di €.
Nella prospettiva di una migliore gestione futura del problema in maniera tale che non si trasformi nuovamente in emergenza, è utile analizzare sia i dati consolidati del ciclo appena trascorso sia le performance della strategia di smaltimento che è stata perseguita dalle autorità europee.
Le sofferenze bancarie lorde sono lo stock di NPL di qualità più bassa contabilizzato nei bilanci bancari (crediti verso imprese in stato di decozione evidenziato dal fallimento o da altra procedura concorsuale). Pertanto possono essere considerate il set di dati più rappresentativo per inquadrare il fenomeno in analisi (vedi Figura 1):
Ad una prima valutazione, si osserva la struttura asimmetrica del ciclo di accumulo/smaltimento, con una lunga fase di ascesa seguita da un significativo plateau ed una discesa relativamente ripida.
La fase di crescita è durata 7 anni, durante la quale l'economia nazionale è stata colpita dall'ulteriore gravissima recessione del 2012-2013 connessa con la crisi del debito governativo dell'area Euro. La lunga fase di plateau (su valori intorno ai 200 miliardi di €) ha caratterizzato il biennio di ripresa economica 2015-2016, ed è stata causata da una riduzione progressiva delle nuove sofferenze in entrata, non compensata però da un ritmo di smaltimento adeguato dello stock accumulato. Soltanto nel terzo trimestre 2021 lo stock delle sofferenze è tornato ai livelli pre-crisi finanziaria del 2008 (intorno ai 50 miliardi di €).
Il 2017 è il punto di svolta nel ciclo, che verrà seguito da un declino marcato degli stock di NPL (vedi Figura 2 e 3).
La Figura 2 riprende l'andamento delle sofferenze lorde (area rossa) e somma ad esse anche i crediti unlikely-to-pay (UTP, la categoria EBA di crediti deteriorati che racchiude la vecchia classificazione di Banca d'Italia in “crediti ristrutturati ed incagli”, area gialla) ed i crediti scaduti (area blu), concentrandosi sulla parte discendente del ciclo. Anche per i NPL considerati nel complesso, il pattern di riduzione a partire dal primo trimestre 2017 è confermato.
Allargando la prospettiva al resto dell'area Euro, le conclusioni non cambiano (vedi Figura 3).
Infatti, pur partendo da livelli iniziali significativamente diversi di incidenza dei NPL sul totale dei prestiti bancari (oltre il 40% per il sistema bancario greco), tutti i Paesi periferici mostrano una forte riduzione a partire dal 2017, proporzionalmente più rapida per le economie caratterizzate da livelli di incidenza più elevati. A fine 2021, il processo di convergenza verso valori di incidenza vicini o inferiori al 5% si può considerare quasi raggiunto anche per i Paesi periferici più penalizzati.
Si tratta dunque di un fenomeno europeo a tutto tondo. Cosa è successo? A marzo 2017 la Banca Centrale Europea (BCE) impone, con la pubblicazione di specifiche linee-guida, un cambio di passo nella gestione dei NPL, prevedendo tempi certi e rapidi per l'accantonamento di liquidità a seguito della loro contabilizzazione in bilancio. Ciò ha aumentato enormemente l'incentivo alla cessione sul mercato di NPL rispetto alla gestione in-house degli stessi da parte delle banche.
Non si trattava di una policy nuova per la BCE, che aveva spinto per un'accelerazione del riconoscimento delle perdite su crediti fin dall'avvio dell'operatività del meccanismo unico di vigilanza nel 2014. D'altronde tale condotta era comprensibile in un'ottica di breve periodo in cui la vigilanza mirava al rafforzamento patrimoniale degli istituti di credito. La dismissione delle sofferenze, in base alla disciplina prudenziale, sostituisce infatti nell'attivo del bilancio della banca una posta (il NPL) che assorbe molto capitale con la liquidità che invece non ne assorbe affatto.
Anche i governi italiani si sono mossi nello stesso solco, modificando le leggi che governavano la deducibilità fiscale delle perdite su crediti; in un paio di passaggi legislativi tra il 2014 ed il 2017 il periodo di ammortamento di una perdita su crediti è stato aggiornato da 18 anni ad 1 anno. In altri termini, riconosciuta una sofferenza, la banca poteva dedurre fiscalmente la perdita (in gergo tecnico la “spesa in bilancio”) in un solo anno conseguendo crediti fiscali (quindi minor gettito per l'erario).
I risultati di questi incentivi non si sono fatti attendere: la prassi di cessione dei NPL a terzi che prima del 2009 riguardava appena il 5% del totale delle posizioni chiuse nel corso dell'anno passa - in due step distinti - prima al 40% circa nel 2015-2016 e poi dal 2017 all'80% (vedi Figura 4).
Questo approccio alla “ripulitura” dei bilanci bancari dai NPL si è rivelato rapido ed efficiente, ma non privo di costi significativi per le banche e per l'intero sistema economico.
I dati storici mostrano in maniera piuttosto chiara come i tassi di recupero per i NPL ceduti a terzi sul mercato secondario abbiano dei tassi di recupero più bassi di circa 10-15 punti percentuali rispetto a quelli gestiti in house dalle banche. La distanza tra i tassi di recupero registrati in queste due categorie si è mostrata abbastanza regolare nel tempo e non è influenzata dalla presenza o meno di garanzie reali o governative (GACS) associate al credito (vedi Figura 5).
Non è sorprendente che un credito gestito in-house abbia un tasso di recupero più alto: la banca è interessata al recupero del credito attraverso un'interazione costruttiva con l'impresa salvaguardando l'attività produttiva. Il fondo specializzato in NPL (o vulture fund) è invece motivato a “spremere” valore dal credito in un tempo più breve (che può scendere anche a soli 7 anni), anche attraverso il ricorso accelerato a procedure esecutive di varia natura. Per un'impresa già in difficoltà per via della crisi e della stretta creditizia ma che ha ancora del potenziale produttivo, l'interazione con il vulture fund può solo nuocere alla residua capacità di resistere sul mercato: secondo stime recenti di Banca d'Italia quasi il 20% dei crediti che riescono ad ottenere una ristrutturazione diversa dalla cessione in blocco ai vulture funds recupera poi lo status di credito in bonis.
Lo smaltimento accelerato dei NPL quindi potrebbe essere costato alle banche nostrane grosso modo una decina di punti percentuali del valore nominale dei crediti deteriorati dismessi, pur scontando un tempo di recupero medio di 5 anni ai tassi di interesse di mercato per i crediti non ceduti. Una stima grossolana quantifica questo mancato recupero per il sistema bancario nazionale in 20-23 miliardi di € nel periodo 2017-2021.
A questo si aggiunge che la strategia di cessione implica dei costi per l'erario in termini di mancati introiti fiscali, che si aggiungono al mancato gettito derivante dall'inadempienza originaria del debitore. In definitiva, a causa delle maggiori perdite che le banche sono costrette a contabilizzare, i contribuenti pagano un “conto salato” sia per la crisi dell'impresa che per la dismissione del credito deteriorato al vulture fund.
In vista del prossimo ciclo di accumulo di NPL che partirebbe proprio nel 2022, si dovrebbero riesaminare visioni alternative per la gestione dei crediti deteriorati, più lente ma con meno esternalità negative.
Qualche anno fa lanciai una proposta “salva-imprese”, che ripartisse più equamente il peso delle svalutazioni su crediti tra banche, governo ed imprese, cercando di tutelare quanto più possibile le realtà produttive ancora “vive”.
L’idea era quella di riallineare le contabilità di banca e impresa sui NPL, consentendo all’impresa di ridurre il proprio debito al valore stimato del credito in bilancio che, come i dati mostrano, è statisticamente molto superiore al valore di cessione. Dopo l'haircut del valore del credito, che de facto trasformerebbe una perdita attesa per la banca in una perdita certa, questo dovrebbe essere trasformato in bonis attraverso una garanzia statale sul valore residuo. In questa maniera, grazie all'intervento governativo, la banca avrebbe la certezza di recuperare almeno il credito residuo senza sopportare l'onere di un'ulteriore perdita.
L’impresa debitrice sarebbe ovviamente la prima beneficiaria dell'intervento, ma potrebbe partecipare al costo complessivo dell'operazione pagando gradualmente la garanzia apposta dal governo attraverso premi “a rate” (vedi Figura 6). Peraltro la conseguente cancellazione dell'informativa problematica nella Centrale dei Rischi di Banca d'Italia e dai sistemi interni di scoring creditizio delle banche consentirebbe all'impresa di eliminare quello stigma di cattivo pagatore che comprometterebbe un nuovo accesso al mercato del credito.
Vari presidi accessori potrebbero essere posti per evitare comportamenti opportunistici di moral hazard delle imprese. Lo Stato dovrebbe tutelarsi in via preventiva considerando eligible per il programma di garanzie soltanto quelle imprese che hanno un track-record fiscale inappuntabile (sono cioè buone contribuenti); questo passaggio richiederebbe l'implementazione tecnica di un algoritmo ad hoc che possa incrociare correttamente i dati riferiti allo status creditizio con la situazione reddituale e fiscale delle imprese facenti richiesta.
In questa prospettiva, tramite un'opportuna calibrazione dell'algoritmo sarebbe possibile selezionare i crediti deteriorati in capo ad imprese realmente meritevoli di supporto, tenendo ben presente le dinamiche che hanno caratterizzato l'erogazione di credito durante l'epoca del cosiddetto “capitalismo di relazione”. Si avrà sostanzialmente una sorta di “controllo di qualità” del credito inizialmente basato su un'informativa ex post, ma funzionale ad impostare per il futuro in una prospettiva squisitamente meritocratica il rapporto banca-impresa.
Ovviamente sarebbe necessario un limite temporale ben definito, tale per cui potrebbero essere ammesse al programma soltanto i NPL che si sono originati per effetto diretto della crisi economica attuale. Questo delimiterebbe non solo l'ambito di intervento, ma eviterebbe anche situazioni nelle quali l'impresa potrebbe essere incentivata a non onorare i debiti, certa di un supporto successivo da parte del “salva-imprese”.
In definitiva, il “salva-imprese” avrebbe il potenziale per essere una soluzione dirompente out of the box, anche se atipica dal punto di vista delle policy economiche convenzionali.
Marcello Minenna, Direttore Generale dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli. @MarcelloMinenna. Le opinioni espresse sono strettamente personali
Marcello Minenna
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