di Chiara Beghelli
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Novanta minuti per provare a rispondere alla domanda: la moda sta facendo abbastanza per ridurre il suo impatto? Probabilmente non saranno sufficienti, ma in ogni caso è una buona notizia che alla Cop27, la conferenza annuale sul clima organizzata dalle Nazioni Unite in corso a Sharm el Sheik, sia in programma anche una tavola rotonda dedicata all’industria della moda, come è noto una delle più inquinanti e divoratrici di risorse del pianeta. Appuntamento dunque l’11 novembre, dalle 14.30 alle 16 (anche online, per chi vorrà registrarsi al canale streaming della conferenza) con il panel “Fashion Industry on the race to Zero”, l’industria della moda in corsa verso un impatto zero.
L’evento è organizzato dal Fashion Industry Charter for Climate Action, un’iniziativa guidata dall’industria della moda nell’ambito dell’United Nations Climate Change, lanciata nel 2018 durante la conferenza Cop24 in Polonia e rinnovata alla Cop26 di Glasgow lo scorso anno. Il suo scopo è chiaro, ridurre a zero le emissioni di gas serra del sistema moda globale entro il 2050, e per farlo ha organizzato le sue attività in gruppi di lavoro dedicati alle complesse e diverse sfide della moda, dalla gestione delle materie prime all’uso delle fonti di energia, dalla logistica alle tecniche di produzione, fino alla comunicazione. Ognuno di essi è coordinato da membri del management di gruppi globali come Kering, Adidas, Puma, Nike.
Tornando all’evento della Cop27, sarà l’occasione per far il punto sul percorso, che deve passare, si legge nella nota di presentazione, dal dimezzamento delle emissioni dell’industria entro il 2030, puntando su materiali a basse emissioni, sulla circolarità, su energie rinnovabili. Le sessioni saranno tre e parteciperanno fra gli altri Marie-Claire Daveu (Chief Sustainability and Institutional Affairs Officer di Kering), Stefan Seidel (Senior Head of Sustainability di Puma), Federica Marchionni, presidente e ceo di Global Fashion Agenda, e Leyla Ertur, Global Head of Sustainability del gruppo H&M. E, molto interessante, ci saranno anche rappresentanti dell’industria cinese (anche se la Cina non partecipa alla conferenza), guidati da Kehua Hu, direttore del programma di sostenibilità del China National Apparel Council.
L’evento della Cop27 conferma come l’industria della moda stia seriamente affrontando il suo percorso verso la sostenibilità, che già aveva discusso questi temi due settimane fa durante la prima edizione del Venice Sustainable Fashion Forum. Al termine della più recente settimana della moda milanese, le iniziative più virtuose erano state premiate ai Cnmi Sustainable Fashion Awards, organizzati dalla Camera della Moda a conclusione e insieme culmine della fashion week. Intanto, il gruppo Otb - al quale fanno capo i marchi Diesel, Jil Sander, Maison Margiela, Marni, Viktor&Rolf e le aziende Staff International e Brave Kid - ha appena annunciato la sua adesione al Fashion Pact, iniziativa per la transizione sostenibile della moda nata in Francia nel 2019, guidata da François-Henri Pinault, presidente e ceo di Kering, e che conta oggi oltre 70 aziende.
Un percorso dal quale non mancano intoppi e ostacoli, come dimostra il recente caso dell’Higg Index: si tratta di un indice di sostenibilità, uno strumento per industrie e designer, largamente usato e messo a punto nel 2011 dal SAC-Sustainable Apparel Coalition, una delle istituzioni più potenti nell’industria della moda, ma che negli ultimi mesi è stato messo sotto accusa per scarsa trasparenza e metodologie fuorvianti e obsolete da numerosi membri della coalizione, come Kering (che l’ha poi abbandonata, come Adidas), H&M, che avrebbe persino pubblicato dati di impatto errati. L’autorità antitrust norvegese ha vietato al marchio Norrøna di utilizzare l’Higg Index relativamente alle comunicazioni di uso di cotone biologico. L’Higg Index è dunque in fase di necessaria revisione. Un necessario approccio per poter proseguire lungo la difficile strada della sostenibilità.
Chiara Beghelli
Redattore
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