di Andrea Chimento
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:Quando il passato incontra il presente: nelle sale è protagonista «Jurassic World: Il Dominio», film pensato sia come conclusione della trilogia di «Jurassic World», iniziata nel 2015 e proseguita nel 2018, sia come ipotetico capitolo finale del franchise partito nel 1993, con il celebre e bellissimo «Jurassic Park» di Steven Spielberg.
Questo film si svolge quattro anni dopo la distruzione di Isla Nublar: i dinosauri ora vivono e cacciano insieme agli umani in tutto il mondo. Questo equilibrio fragile rimodellerà il futuro e determinerà, una volta per tutte, se gli esseri umani rimarranno i predatori dominanti su un pianeta che ora condividono con le creature più temibili della storia.
Diretto da Colin Trevorrow, «Jurassic World: Il Dominio» unisce la prima trilogia degli anni Novanta con quella più recente: non è un caso che, per la prima volta, si incrocino i personaggi che hanno dato origine alla storia (quelli interpretati da Sam Neill, Laura Dern e Jeff Goldblum) con i protagonisti delle ultime pellicole (da Chris Pratt a Bryce Dallas Howard).Questa idea è sicuramente lo spunto principale di una produzione che tenta così di unire due target di pubblico diversi: i nostalgici dei film degli anni Novanta, e in particolare del primo capitolo, insieme ai più giovani cresciuti con gli ultimi due lungometraggi.Mescolando alcune dinamiche del passato del franchise con gli effetti speciali più innovativi del contemporaneo, il film è un curioso ibrido che segue altre operazioni di successo realizzate negli ultimi tempi (anche «Top Gun: Maverick» ha cercato di allargare la fascia di pubblico in maniera simile).
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Funziona a metà questo imponente blockbuster che spera di far suo il box office delle prossime settimane: Trevorrow non ha una firma riconoscibile e manca della necessaria personalità per poter alzare il livello di un prodotto di questo tipo, ma riesce ugualmente a tenere alti il ritmo e la tensione grazie a un apparato visivo spettacolare e a una forte dinamicità che si mantiene costante dall'inizio alla fine.Per gli appassionati il divertimento è garantito, anche se il film pecca dal punto di vista emotivo, a causa di un lato nostalgico che sembra più dettato dalle esigenze del fan service che da un effettivo desiderio di provare a creare qualcosa di nuovo e coraggioso nel franchise. Molti spunti narrativi sono ripetitivi e tolgono originalità a un'operazione che avrebbe potuto risultare ben più audace sotto tanti punti di vista. Anche le riflessioni a tema ambientalista sono fin troppo reiterate.
Tra le novità in sala si segnala anche «La doppia vita di Madeleine Collins» di Antoine Barraud con protagonista Virginie Efira.L'attrice interpreta Judith, una donna che conduce una doppia vita: in Svizzera è la compagna di Abdel, da cui ha avuto una figlia; in Francia, invece, vive con un altro uomo, con cui ha avuto due figli.Questo precario equilibrio, che Judith mantiene grazie a bugie e segreti, inizierà a sgretolarsi pericolosamente, rischiando di mandare in frantumi entrambe le sue esistenze. Mescolando thriller e dramma, Barraud racconta l'interessante vicenda di una donna che non sa e non vuole scegliere una sola delle sue vite: un'utopia, sostanzialmente, che anche lo spettatore inizia presto a percepire come tale in una pellicola che riesce a incuriosire, nonostante qualche calo di troppo con il passare dei minuti.Con le dovute proporzioni, «La doppia vita di Madeleine Collins» è un film dal sapore hitchcockiano, capace di coinvolgere seppur non in grado di andare in profondità come avrebbe potuto.Il versante psicologico è un po' carente, ma per il resto è un prodotto godibile e ben interpretato da Virginie Efira in un ruolo tutt'altro che semplice.
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