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Vaticano: le mediazioni (tentate) dai Papi nelle guerre. Il ruolo di Sant’Egidio

di Carlo Marroni

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(ANSA)

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Le testimonianze inedite - in un libro di Battistini-Mian - del viaggio del 1994 mai compiuto di Giovanni Paolo II a Sarajevo per la pace

24 febbraio 2022
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4' di lettura

Il Papa invoca la pace, nelle ore in cui in cui l’aggressione della Russia si fa sempre più concreta e proclama un digiuno. Nessuno lo chiede apertamente, ma in molti sperano che Francesco possa prendere un'iniziativa pubblica verso Mosca, dagli esiti quantomeno incerti. Il Pontefice, come noto, non ha divisioni corazzate, ma può andare di persona o mandare qualcuno dei suoi. È accaduto, e in qualche caso ha avuto qualche effetto, come fu nel 2013, appena eletto – sempre con la preghiera e il digiuno - per evitare lo strike americano in Siria. Se si va un po' indietro nel tempo il caso più noto è l'iniziativa che assunse Giovanni Paolo II nella ex Jugoslavia, e in particolare per la guerra del Kosovo, ma in quelle terre il papa polacco aveva già provato ad imporre la sua presenza a Sarajevo, viaggio che nel 1994 non si tenne (fu rimandato al 1997, ben dopo la pace di Dayton). Ma molti altri tentativi sono stati compiuti, tra cui spiccano quelli della Comunità di Sant’Egidio, “l’Onu di Trastevere”, qualche volta coronati da successo.

1999, la missione dell'arcivescovo Tauran a Belgrado

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La guerra del Kosovo era iniziata il 24 marzo 1999 con i bombardamenti Nato. Il primo aprile il Papa invia a Belgrado il “ministro degli esteri” l'arcivescovo Jean Louis Tauran, francese, diplomatico di lungo corso (sarà lui nel 2013 ha annunciare l’Habemus Papam di Bergoglio) che arriva nella capitale serba con aereo dell'Aeronautica Italia, cui è garantito un corridoio protetto. La sua è una carta estrema: un messaggio personale di Wojtyla per Milosevic, con la richiesta di una tregua per Pasqua. Non solo: Cessazione immediata delle operazioni di pulizia etnica e soccorsi urgenti alle vittime del Kosovo. La Nato è informata, naturalmente, e c’è il via libera di entrambe le parti. Quattro giorni dopo in effetti la tregua per la Pasqua ortodossa sarà dichiarato, ma poi tutto riprenderà fino a giugno.

I tentativi di Wojtyla per la pace nei Balcani

Ma non ci sono state solo le missioni diplomatiche con uomini di Curia. Nel 1994, nel bel mezzo della guerra in Bosnia - altro capitolo, più doloroso ancora - il Papa polacco voleva andare lui stesso in viaggio a Sarajevo, epicentro dello scontro. Il racconto è dell’allora nunzio apostolico Francesco Monterisi (poi cardinale), contenuto in un libro appena pubblicato “Maledetta Sarajevo” (ed. Neri Pozza), di Francesco Battistini e Marzio G. Mian, un viaggio nella guerra dei trent’anni nel cuore dell’Europa. «Fui convocato varie volte a Castelgandofo e il Santo Padre mi confidò che lo vedeva come un viaggio epocale. Tranne Mitterrand nessun capo di Stato aveva osato mettere piede a Sarajevo assediata. I problemi però emersero subito. I serbi non volevano». Nel libro di Battistini e Mian emergono su questa vicenda (ma anche su molte altre, il testo racconta tutto il conflitto nei Balcani) molti dettagli e gli incontri tra Monterisi e il capo dei serbo-bosniaci Radovan Karadžić, criminale di guerra che ora sconta l'ergastolo dopo la condanna del Tribunale penale dell'Aja.

La missione del cardinale Laghi per evitare l'attacco Usa in Iraq

Quando ormai era tutto pronto per l'attacco il 5 marzo 2003, Giovanni Paolo II – che pure era stato per tutto il pontificato molto vicino al mondo americano - inviò il cardinale italiano Pio Laghi, a incontrare il presidente George W. Bush e a chiedergli di non invadere l’Iraq e abbattere il regime di Saddam Hussein, ma il leader USA rifiutò l'appello dichiarando che era «convinto che fosse la volontà di Dio». Molti dettagli sono emersi – riferiti dal giornalista Gerard O’Connell su Vatican Insider –ma su tutti uno spicca: «Quando arrivò il cardinale, consegnò la lettera di Papa Giovanni Paolo II al Presidente, il quale la mise subito su un tavolino senza aprirla o leggerla». Come andò si sa, anche se poi Bush riceverà con tutti gli onori il successore, Benedetto XVI, e ricambierà la visita in Vaticano.

Sant'Egidio, la pace in Mozambico e i “colloqui” per il Sud Sudan

Un capitolo a parte è l'attivismo straordinario della Comunità di Sant'Egidio su vari scacchieri, in particolare l'Africa. Nel 1992 fu siglata proprio nella sede di Trastevere la pace per il Mozambico – nelle foto della firma si vedono dei giovani Andrea Riccardi e don Matteo Zuppi (quest’ultimo ora cardinale di Bologna), e di recente ha propiziato per il Sud Sudan – terra sempre in cima ai pensiero di Papa Francesco, come che vorrebbe visitare – degli incontro da cui è scaturita una dichiarazione di principi che fissa le questioni che saranno al centro dei colloqui per il futuro Stato democratico del Sud Sudan e un accordo per coinvolgere tutti i gruppi ribelli nel monitoraggio del rispetto del cessate il fuoco. E proprio Sant’Egidio la scorsa settimana ha organizzato una veglia – cui hanno aderito molte associazioni cattoliche e non - a piazza Santi Apostoli, unica iniziativa fatta per la pace in Ucraina.

I tentativi di Benedetto XV per fermare «l’inutile strage»

All'inizio della prima guerra mondiale all'allora papa Benedetto XV si spese molto per la pace. A settembre 2014 invitava le potenze a deporre le armi. Un appello inascoltato. Era seguito un altro tentativo di persuasione morale, il 1° novembre 1914, con l’enciclica Ad Beatissimi, nella quale Benedetto XV denunciava il generale imbarbarimento culturale dell'epoca: «la mancanza di mutuo amore fra gli uomini», il bene materiale «fatto unico obbiettivo dell'attività dell'uomo» e gli odi nazionalistici «portati al parossismo». Il Papa faceva risalire tutto alla cultura positivista che esaltava l'odio, l’istinto, la lotta per la sopravvivenza. Fu lui a parlare di “inutile strage”, termine poi rimasto scolpito, cui seguì un appello ai cattolici per attivarsi in azioni umanitarie. Seguiva un’ulteriore richiesta alle potenze belligeranti perché ponessero termine alla guerra, e trovassero «altre maniere, onde i lesi diritti possano avere ragione». Anche questo secondo appello rimase inascoltato. Un terzo invito a deporre le armi fu tentato a Natale: Benedetto XV chiese un «cessate il fuoco» di ventiquattr’ore perché si ricordasse la nascita del «Principe della pace». Ma i russi e i francesi dissero di no. Il 10 gennaio 1915, il Papa pubblicò la sua Preghiera per la pace, ma i vescovi e il clero di Belgio e di Francia ne stravolsero il significato, adattandolo agli interessi politici e patriottici dei loro Paesi. Oggi non accadrebbe.


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