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L’Iran bello e disperato di Jafar Panahi

a cura della Redazione della Domenica

Servono medici non attori

29 novembre 2018
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1' di lettura

Al regista iraniano Jafar Panahi è vietato far cinema in Iran, e non può nemmeno uscire dal suo Paese, anche se i suoi film puntualmente vengono presentati, in sua assenza, in tutti i maggiori festival cinematografici. Tre anni fa aveva vinto l’Orso d’oro al Festival di Berlino con «Taxi Teheran» e nel maggio scorso aveva presentato in concorso «Tre Volti», oggi nelle sale. Ha girato questi due film in semi clandestinità, come anche i precedenti «This Is Not a Film», «Closed Curtain».

I volti dell’Iran

11 foto

Marziyeh Rezaei
Marziyeh Rezaei
Behnaz Jafari
Jafar Panahi
Behnaz Jafari, Jafar Panahi, Marziyeh Rezaei
Behnaz Jafari
Behnaz Jafari e Jafar Panahi
Behnaz Jafari e Jafar Panahi
Behnaz Jafari, Jafar Panahi e Hassan Mihammadi
Behnaz Jafari, Maedeh Erteghaei, Marziyeh Rezaei
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La storia è imperniata su un videomessaggio, indirizzato all’attrice Behnaz Jafari, volto molto noto agli spettatori e i telespettatori iraniani, in cui una ragazza, Marziyeh Rezaei racconta la sua disperazione: sta per compiere un gesto esiziale perché la famiglia le proibisce di frequentare il corso di teatro dopo aver passato la selezione. Jafari costringe Panahi a seguirla nel cuore del Paese per scovare la ragazza e salvarla. Il viaggio è un’occasione per parlare dell’arretratezza e dei bisogni dell’Iran, ma anche della ricchezza millenaria della sua cultura e la sua intensa umanità.

Su «Domenica» 2 dicembre la recensione di Roberto Escobar.

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