di Vincenzo Rutigliano
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Radiofarmaci russi destinati al policlinico di Bari acquistati da Rosatom, l’azienda statale russa che progetta e realizza le testate nucleari montate sui missili intercontinentali usati dall’esercito della federazione di Mosca? E con i farmaci anche consulenze insieme a informazioni e scambi scientifici?. Nero su bianco il gruppo regionale di Fratelli d’Italia ha chiesto, in una interrogazione al presidente, Michele Emiliano, le ragioni di questi scambi e soprattutto se è “ancora attivo il protocollo firmato a novembre 2019 con la società statale Rosatom, voluta e istituita da Putin a Mosca nel 2006, ed attiva nel settore del nucleare, per fornire radiofarmaci al Policlinico di Bari”.
L’interrogazione è nata in modo quasi fortuito. Nel corso di una seduta della terza commissione consiliare regionale, quella che si occupa di sanità, alcuni medici hanno segnalato al neo assessore regionale alle Politiche della Salute, Rocco Palese, l’assenza in Puglia di reparti ospedalieri specifici di medicina nucleare, salvo alcuni posti letto presenti in unità operative, ma di oncologia o radiologia come a Barletta e a Taranto. Alla domanda del consigliere regionale di FdI, Francesco Ventola, “È vero che i radiofarmaci arrivano anche dalla Russia?”, la risposta di uno dei medici ascoltati è stata : “Noi ce li procuriamo altrove, ma al Policlinico c’è un accordo con una società voluta nel 2006 da Putin. Anzi riteniamo che la sperimentazione con questa società debba essere sospesa visto che produce armi da guerra”.
All’origine del casus dunque l’esistenza di un protocollo sottoscritto a novembre 2019 tra la Puglia, l’università di Mosca e Rosatom. Non è stato il solo. Gli accordi conclusi tra la regione e la Russia nel nome di San Nicola - il protettore della città pugliese e santo venerato pure nella Federazione guidata da Putin - sono stati molti. Su questo però, che ha originato anche l’uso di radiofarmaci targati Rosatom - FdI punta il dito avvertendo che “oggi potrebbe creare più di un imbarazzo se dovessimo verificare che è ancora attivo il protocollo”. Manco a dirlo e la regione assicura, appena resa nota l’interrogazione, che la collaborazione è stata interrotta quando è scoppiata la guerra: “Il protocollo del 2019 - spiega Giovanni Gorgoni, direttore dell’Agenzia regionale strategica per la salute - aveva l'obiettivo di avviare una cooperazione scientifica, anche a livello accademico e universitario, nell'ambito della ricerca contro i tumori, con l'impiego di radiofarmaci innovativi non disponibili sul territorio nazionale. Ogni passaggio è stato accompagnato sempre dalle autorizzazioni del Governo italiano e delle autorità europee. Scoppiata la guerra in Ucraina, la collaborazione è stata interrotta”. Dopo l’Aress il Policlinico di Bari: “Nessuna fornitura di radiofarmaci con aziende russe è stata sottoscritta. Nell'ottobre del 2020 nell'ambito di un progetto scientifico coordinato dall'Aress, la medicina nucleare del Policlinico ha effettuato test analitici sulla qualità del Lutezio-177, un radioisotopo utilizzato nel trattamento del cancro alla prostata, proveniente dalla Russia. Verificato il rispetto degli standard internazionali di sicurezza GMP della Ue, non c'è stato alcun seguito per l’azienda universitaria barese”.
Il memorandum firmato a novembre 2019 e definito strategico per l’oncologia “del terzo millennio” venne sottoscritto tra la Sechenov University di Mosca, l’agenzia nazionale russa Rosatom, la Rete Oncologica Pugliese, l’Università degli Studi di Bari, l’Istituto Tumori Giovanni Paolo II pure di Bari e l’ospedale Miulli di Acquaviva. A firmarlo il presidente della Regione, Michele Emiliano, il direttore generale di Rosatom Healthcare, Alexander Shibanov, la rappresentante dell'Università Sechenov di Mosca, Marina Sekachev e il direttore ad interim di Isotope, generale Boris Victorovich Akakiev. Durata 4 anni. Perchè la Puglia?.”La Puglia - spiegò allora la rappresentante dell'Università Sechenov di Mosca, Marina Sekachev - è il paese che maggiormente lavora nella direzione più promettente per lo sviluppo dell’oncologia”. Resta da chiedersi quale sia stato l’effettivo utilizzo dei radiofarmaci Rosatom; se il loro impiego è stato o no gratuito; se la collaborazione scientifica sia approdata a qualche nuovo farmaco o posto le basi per crearlo; se ci siano, a due anni e mezzo dalla firma, i report sui risultati della sperimentazione per comprendere i passi avanti compiuti con i russi. Magari per implementarli e verificare il loro grado di avanzamento anche rispetto ai risultati ottenuti finora dalle aziende farmaceutiche già esistenti in Puglia e che sono di eccellenza nella produzione di radiofarmaci, come per esempio la Itel di Ruvo di Puglia, nel barese.
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