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Un partenariato tra pubblico e privato per il nuovo nucleare

di Antonio Agostini

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(altitudedrone - stock.adobe.com)

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28 gennaio 2022
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3' di lettura

Gentile Direttore,

in relazione agli articoli apparsi sul suo giornale ho piacere di offrire un punto di vista al dibattito sull’impegno a promuovere sorgenti di energia sostenibile per i grandi bisogni mondiali, nel cui contesto il ricorso a soluzioni innovative basate su reazioni nucleari capaci di produrre energia con caratteristiche particolarmente attraenti è visto come una prospettiva realistica. Questione esplosa purtroppo con ritardo, pur trattandosi di necessità ampiamente prefigurate, volte a migliorare le condizioni ambientali senza rallentare la crescita economica. Ma anche per gli equilibri geopolitici messi in discussione dalla crescente tensione sugli approvvigionamenti di risorse energetiche.

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In tali settori di ricerca l’Italia può contare su un bacino di personalità illustri, tendente ad assottigliarsi se non più curato. Con molti di loro si discute di come potenziare la ricerca di base, universitaria ed applicata, correggendo il silenzioso fenomeno di dispersione dei pregi a beneficio di interessi stranieri. Di come, orfani della lungimiranza del Cnen, ricreare un meccanismo, riferibile alla più alta Autorità di Governo, in grado di promuovere progetti che risolvano i bisogni del Paese. Della problematica di salvaguardare in Italia un grado di “sussistenza” dell’alta formazione in ingegneria, tecnica e impiantistica nucleare, almeno per partecipare alle ricerche internazionali. Di come pervenire in Italia a un modello che pratichi una valutazione preventiva dei programmi proposti, guardando all’Agence nationale de la recherche (Anr).

Uno dei temi che occupò l’attenzione fu il dossier del nucleare con il metodo della fusione a confinamento magnetico, che potrebbe consentire di disporre di grandi quantità di energia prodotta in modo sicuro, pulito, sostenibile e praticamente inesauribile. In tale cornice, da un lato si rafforzava il contributo al Programma internazionale Iter, incentrato sulla realizzazione di un reattore sperimentale per il raggiungimento di una reazione stabile di fusione. Dall’altro, veniva avviato il Programma Ignitor, ispirato dal professor Coppi, tra i massimi esperti mondiali nella fisica dei plasmi presso il Mit, coadiuvato da un gruppo di scienziati e da una pregevole filiera industriale. Quest’ultimo non mancava di evidenziare che lo sfruttamento dell’energia nucleare, se paragonata a quella prodotta da reazioni chimiche, si trova ancora allo stato “infantile” e che molteplici incomprensioni hanno indotto erronei convincimenti con base più ideologica che scientifica. Si dimentica persino che le nuove tecnologie generate da questi esperimenti trovano applicazione anche in altri campi, come l’industria della diagnostica medica.

Ignitor premiava l’impegno di una tradizione italiana sorta agli inizi degli anni settanta, fondata su una rete di gruppi di ricerca, sulla fisica sperimentale a Frascati, teorica a Milano e di ingegneria elettrotecnica a Padova. Interiorizzava il successo degli esperimenti condotti nell’impianto Nif a Livermore sulla fusione a confinamento inerziale; Alcator al Mit e Frascati Torus in Italia. Apprezzato da autorità internazionali, tra cui i fisici di Harvard Holdren; dal premio nobel Chu, e dal russo Velikhov, Ignitor fu in primis oggetto di Intese internazionali tra Italia e Federazione Russa, e poi approvato dal Cipe come “progetto bandiera” nell’ambito del Programma Nazionale della Ricerca 2010-2012. Si proponeva la realizzazione di una tecnologia rivoluzionaria ma di costi contenuti, che guardava allo sviluppo di reattori ibridi con l’impiego di materiali più desiderabili dell’uranio, quale ad esempio il torio, minimizzando la produzione di neutroni e abbattendo la quantità di materiali attivati. L’esperimento consentiva altresì di introdurre nuove soluzioni tecnologiche utili allo sviluppo prototipale di piccole centrali elettriche a fusione e incardinava la sede di costruzione a Caorso. Sebbene proiettato su un’ampia collaborazione internazionale, tale progetto di eccellenza scontava forse il difetto di vedere l’Italia protagonista. Negli anni successivi questa promettente “via pubblica” è stata abbandonata, ritardando l’esplorazione di soluzioni innovative alla portata. Al contrario, nel dicembre 2021 l’annuncio di Eni del successo dei test condotti negli Stati Uniti nell’impresa gemella Sparc, che pone le basi per una rivoluzione in campo energetico ed industriale, nei fatti comprova la valenza di Ignitor e dell’intuizione allora perseguita. Per questo ci auguriamo che siano riaccese le luci sulle ricerche accademiche in una prospettiva di partenariato pubblico-privato.

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