di Gianluca Di Donfrancesco
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La riforma della tassazione delle multinazionali arriva all’ultimo passaggio politico, con un esito ormai scontato dopo l’accordo raggiunto il 1° luglio tra 130 Paesi in sede Ocse. Al termine, o quasi, di un lungo e accidentato percorso, il G20 a presidenza italiana, in corso oggi e domani a Venezia, darà luce verde alle regole che, almeno nelle intenzioni, dovrebbero fermare la corsa a paradisi fiscali e giurisdizioni “benevole”: ovvero verso «il Paese dove si pagano meno tasse», per usare le parole del commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni.
Dopo l’avallo del G20 dei ministri dell’Economia e dei banchieri centrali, ci sarà ancora qualche mese per mettere a punto gli aspetti tecnici e persuadere gli Stati che continuano a puntare i piedi, compresi Irlanda, Estonia e Ungheria. L’appuntamento è per ottobre, ancora in sede Ocse.
La global minimum tax di «almeno» il 15% sui redditi delle multinazionali (ma si discute anche sulla possibilità di fissare un’aliquota più alta) e la ridistribuzione tra Paesi del prelievo sono i due pilastri del pacchetto fiscale, il dossier principale del summit: appena qualche mese fa, sembrava tutt’altro che alla portata l’intesa su un tema che incide come pochi sulla sovranità nazionale. Decisiva è stata la spinta impressa al negoziato dal presidente Usa, Joe Biden, impegnato a cambiare le regole del fisco americano.
In tutto sono 9 su 139 i Governi che ancora resistono: oltre ai tre Paesi europei, ci sono Perù, Barbados, Saint Vincent e Grenadine, Sri Lanka, Nigeria e Kenya. Cipro non ha partecipato alle trattative. I 130 Stati che sostengono l’intesa rappresentano il 90% del Pil mondiale. Una volta che saranno stati definiti i dettagli tecnici, passaggio tutt’altro che banale, le nuove regole potrebbero scattare a partire dal 2023 e generare entrate aggiuntive per 150 miliardi di dollari l’anno, secondo i calcoli dell’Ocse.
L’intesa sulla tassazione globale delle multinazionali, storica proprio perché riguarda un tema tanto sensibile, ha riflessi sul confronto-scontro tra Stati Uniti e Unione Europea sulle digital tax nazionali e ne resta condizionata. Il ministro francese, Bruno Le Maire, qualche giorno fa, ha affermato che Parigi è pronta a prendere un impegno vincolante ad abrogare la propria web tax, non appena l’imposta minima globale entrerà in vigore. Al tempo stesso, Bruxelles resta tuttavia intenzionata a portare avanti il proprio separato progetto di tassazione dei servizi digitali.
Uno spazio rilevante nell’agenda del vertice di Venezia sarà poi dedicato alla ripresa post-Covid, tra varianti del virus, nodo vaccinazioni, fragilità dei mercati emergenti e rischio inflazione. Secondo i funzionari del Tesoro Usa, la ministra Janet Yellen inviterà i partner a non revocare in modo prematuro gli interventi a sostegno delle economie. Per Washington, come per Bruxelles, le esigenze della ripresa vengono ancora prima dei timori suscitati dalle fiammate dei prezzi.
Tanto più che la ripresa post-Covid accentua il suo carattere diseguale e le divergenze tra Paesi avanzati e in via di sviluppo, come ha ricordato alla vigilia del vertice la direttrice generale dell’Fmi, Kristalina Georgieva: «La ripresa globale - ha detto - è in linea con le proiezioni di una crescita del 6% quest’anno», trainata da Stati Uniti e Cina. Molte economie, però, «sono in ulteriore ritardo». E il fattore chiave resta la diffusione dei vaccini su scala globale: «Stimiamo che un accesso più rapido alle vaccinazioni per le popolazioni ad alto rischio possa potenzialmente salvare più di mezzo milione di vite solo nei prossimi sei mesi», sostiene Georgieva.
Un segnale su questo fronte potrebbe arrivare con la proposta di indirizzare più risorse (100 miliardi di dollari) ai Paesi poveri nell’ambito della prossima allocazione di 650 miliardi di dollari di diritti speciali di prelievo da parte dell’Fmi.
E poi c’è il clima. Tutti d’accordo in linea di principio sui danni causati dal surriscaldamento globale, i leader del G20 (e non solo) fanno però ancora fatica a trovare un’intesa su come combatterlo. Con Biden, gli Stati Uniti stanno recuperando centralità nel dibattito. I riflettori saranno puntati sulla Cina, che resta il più grande inquinatore del pianeta. Mentre l’Europa porta avanti la propria agenda “verde”, anche attraverso le nuove linee guida appena adottate dalla Bce.
Tassazione redistribuita
Si applica alle multinazionali con ricavi globali sopra i 20 miliardi di euro e redditività (rapporto utili ante tassazione-ricavi) oltre il 10%. Tra il 20 e il 30% dei profitti in eccesso rispetto a questa soglia verranno riattribuiti ai Paesi dove la multinazionale ha utenti e consumatori e potranno qui essere tassati. È il primo pilastro dell’intesa Ocse: si stima che possa essere redistribuita la competenza a tassare oltre 100 miliardi di dollari l’anno
Prelievo minimo al 15%
Il secondo pilastro introduce un’imposta minima globale del 15% sulle multinazionali con ricavi superiori a 750 milioni di euro. Se uno Stato in cui opera la divisione di una multinazionale ha una tassazione effettiva sotto al 15%, lo Stato dove il gruppo fa base può intervenire e tassarne i profitti fino a raggiungere la soglia del 15%. Gettito atteso: 150 miliardi di dollari all’anno
Gianluca Di Donfrancesco
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