Boris Johnson getta la spugna: si dimette da premier e leader Tory
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Alla fine, ha ceduto. Boris Johnson ha rassegnato le sue dimissioni da leader del Partito conservatore e da premier, dopo che un’ondata di defezioni ha fatto collassare definitivamente il suo governo. Il premier ha anticipato alla regina Elisabetta la sua decisione in una conversazione telefonica, definita «di cortesia».
L’annuncio, dopo le indiscrezioni della mattinata, è stato ufficializzato in un discorso alla nazione a Downing Street. «Darò tutto il mio sostegno al nuovo leader - ha detto Johnson - Sto per rinunciare al miglior lavoro del mondo», ha aggiunto, dicendo che «nessuno è indispensabile». Il premier resterà in sella fino alla scelta del suo successore, in una fase di transizione che potrebbe concludersi in autunno.
I deputati conservatori dovranno individuare un nuovo leader, secondo un processo scandito prima da votazioni interne fra i parlamentari Tory, poi da una consultazione generale che coinvolgerà tutta la base del partito. Il vincitore diventerà anche premier di fatto, con la facoltà - ma non l’obbligo - di indire elezioni lampo. Tra i favoriti nella corsa ai vertici si avanzano le ipotesi dell’ex cancelliere Rishi Sunak e della ministra della Politica commerciale Penny Mordaunt. La ministra degli Esteri Liz Truss ha lanciato un appello «alla calma e all’unità» che lascia presagire una sua candidatura alla successione.
Il premier dimissionario nel pomeriggio ha telefonato al presidente ucraino Zelensky per un commiato. «Sei un eroe, tutti ti amano», ha concluso Johnson.
Nel frattempo, Johnson appronta la squadra di governo per la fase di guado fino all’autunno. Il premier uscente ha proceduto alla sostituzione d Michael Gove ministro per il Livellamento delle Diseguaglianze Territoriali - silurato ieri sera dopo essere stato accusato di tradimento - con Greg Clark, già ministro della Attività Produttive sotto Theresa May e finora oppositore di BoJo in casa Tory. Preannunciate anche altre nomine per la ricomposizione dell’intero gabinetto.
L’escalation è stata rapidissima, anche se le turbolenze interne al partito e all’esecutivo si manifestavano da tempo. Oltre 50 tra ministri e altri membri del governo hanno rassegnato le proprie dimissioni nell’arco di 48 ore, sostenendo che Johnson non fosse più «degno» del suo ruolo a Downing Street dopo gli scandali che ne hanno minato reputazione e leadership interna ai Tories.
Il terremoto è iniziato il 5 luglio, con l’addio di due ministri chiave dell’esecutivo come il cancelliere dello scacchiere Rishi Sunak e il ministro della sanità Sajid Javid. Da lì è scattato un effetto domino che sta isolando sempre di più lo stesso Johnson, già “sopravvissuto” a un voto di fiducia che svelava bene i malumori nel suo partito: il 41% dei deputati conservatori si era espresso contro di lui, manifestando un’insofferenza che ora è esplosa in maniera definitiva.
Il 50esimo addio a Johnson è arrivato dal ministro britannico per l’Irlanda del Nord, Brandon Lewis: «Un Governo dignitoso e responsabile si basa sull’onestà, l’integrità e il rispetto reciproco- ha scritto Lewis su Twitter - è con profondo rammarico personale che devo lasciare il governo poiché credo che questi valori non siano più rispettati».
Fino alle prime ore della mattinata del 7 luglio, Johnson si era mostrato ostile a qualsiasi ipotesi di dimissioni: «Non mi dimetterò» aveva dichiarato a una commissione parlamentare, ribadendo più volte di non aver intenzione di cedere al pressing del suo partito e dell’opposizione laburista.
Lo stesso Johnson ha silurato un fedelissimo come Michael Gove, colpevole di averlo invitato - indirettamente - alle dimissioni con dichiarazioni ai media. Il premier si era difeso invocando il mandato dei «14 milioni di elettori» che hanno scelto i conservatori e gli avrebbero affidato la gestione della Brexit, il divorzio dalla Ue inaugurato con il referendum del 2016.
La reazione dei mercati è stata immediata, con un balzo della sterlina. La sterlina è salita fino a 1,199 nel cambio con il dollaro e scambia ora a 1,197 mentre l’euro è sceso fino a un minimo di 85,12 pence per poi risalire a 85,23 pence. La sterlina, finora, aveva limitato i movimenti sulle notizie politiche reagendo principalmente alle preoccupazioni legate alla recessione globale
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