di Marzio Bartoloni
Luiss, Osservatorio Welfare: sanità come investimento, non costo
3' di lettura
Ci sarà una «presenza medica» 24 ore al giorno sette giorni su sette, insieme agli infermieri (12 ore al giorno per 7 giorni). Ci saranno anche specialisti come lo psicologo, il logopedista, il fisioterapista, il dietista, il tecnico della riabilitazione e l’assistente sociale, ma quando necessario anche il cardiologo, lo pneumologo o il diabetologo.
Qui gli italiani potranno ottenere oltre alla classica visita medica anche servizi diagnostici primari per monitorare le proprie condizioni di salute, un servizio utile soprattutto per quei pazienti cronici che potranno accedere ad apparecchiature come ecografi, elettrocardiografi, retinografi, oct, spirometri. Ci sarà infine anche un punto per i prelievi e per gli screening oltre che per le vaccinazioni. Qui si potranno infine trovare anche i servizi classici di prenotazione di visite e ricoveri (il Cup) e si potrà far attivare l’assistenza direttamente a casa oppure i nuovi servizi di telemedicina oltre che i servizi per la salute mentale, le dipendenze o l’assistenza sociale.
Eccolo l’identikit delle Case di comunità , «il luogo fisico, di prossimità e di facile individuazione al quale l'assistito può accedere per poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria, sociosanitaria e sociale», come recita la bozza del documento a cui lavora Agenas - l’Agenzia per i servizi sanitari regionali - e ministero della Salute sui «Modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale».
Saranno in tutto 1.288 queste nuove strutture - una ogni 40-50mila abitanti - , evoluzione in qualche modo dell’esperienza delle Case della salute (diffuse soprattutto in Toscana, Emiila e Veneto). che dovranno aprire i battenti entro metà del 2026 sfruttando i due miliardi di euro assicurati dal Piano nazionale di riprese e resilienza (Pnrr) come prima risposta alla lezione del Covid quando proprio la trincea delle cure fuori dagli ospedali crollò miseramente. Una lezione che fa dire continuamente al ministro della Salute Roberto Speranza che bisogna «ricominciare a pensare un Servizio sanitario nazionale prossimo, vicino, nell'immediatezza delle esigenze del cittadino».
Le Case di comunità dovranno infatti lavorare come un filtro sul territorio per evitare accessi impropri negli ospedali gestendo in particolare i pazienti anziani e cronici con più patologie che spesso hanno delle ricadute che peggiorando portano alla fine al ricovero. E lo faranno in stretta sinergia con i medici di famiglia e i pediatri che avranno la possibilità anche di lavorare all’interno delle Case di comunità dove potranno avere la «sede fisica» delle loro forme di aggregazione in team. Oppure lo faranno dai loro studi e ambulatori privati che lavoreranno in stretto collegamento con le nuove strutture.
La parola d’ordine delle Case di comunità sarà infatti quello di lavorare in team: qui sarà infatti promosso «un modello di intervento integrato e multidisciplinare - si legge nel documento a cui hanno lavorato i tecnici -, in qualità di sedi privilegiate per la progettazione e l'erogazione di interventi sanitari e di integrazione sociale». «L’attività, infatti - continua la bozza di documento - deve essere organizzata in modo tale da permettere un'azione d’équipe tra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, specialisti ambulatoriali Interni - anche nelle loro forme organizzative - Infermieri di famiglia e comunità, altri professionisti della salute».
Il documento che sarà sottoposto al vaglio delle Regioni prevede poi due “categorie” di Case di comunità: quelle «hub» dove dovranno essere garantiti obbligatoriamente tutti questi servizi (dalla presenza medica h24 alle prestazioni diagnostiche) e poi le Case di comunità «spoke» che forniranno un minimo obbligatorio di servizi medici e infermieristici restando però obbligatoriamente in collegamento con le strutture «hub».
Infine la Casa di comunità dovrà lavorare in rete con gli «altri setting assistenziali territoriali» a partire dalle cure a domicilio dei pazienti per le quali sempre il Pnrr stanzia ben 4 miliardi. E poi dovrà lavorare in rete con gli altri soggetti, come i nuovi ospedali di comunità - strutture intermedie tra ospedale e case di comunità -, ma anche con gli hospice e le rete delle cure palliative e le Residenze sanitarie per gli anziani.
Stretta correlazione anche con l’attività ospedaliera che andrà in una «doppia direzione»: sia di invio all’ospedale di pazienti selezionati dalla Casa di comunità che «richiedono prestazioni ospedaliere ambulatoriali specialistiche», ma anche di «presenza di medici ospedalieri» nella stessa Casa di comunità perché come spiega il documento «tale forma di integrazione e coordinamento ha una maggiore valenza soprattutto in merito alla gestione comune dei malati cronici più complessi e ad alto grado di instabilità, che sono soggetti a frequenti ricoveri».
Marzio Bartoloni
caposervizio
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy