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Coima crea la holding di gruppo e punta a 10 miliardi di asset gestiti

di Laura Cavestri

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(IMAGOECONOMICA)

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Nasce il Gruppo Coima partecipata al 100% dai soci fondatori con una strategia basata su rigenerazione urbana, Esg e digitale. Si punta a ulteriori 5 miliardi di investimenti nei prossimi 5 anni. «Il Pnrr? Un’occasione per ripensare il Paese»

12 maggio 2021
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4' di lettura

Ufficialmente non c’è nessun desiderio di aprire a nuovi soci ma la volontà di dare organicità al gruppo soprattutto nei confronti degli investitori esteri. Coima – la società milanese di investimento, gestione e sviluppo di patrimoni immobiliari – annuncia la nascita di una holding da parte di tutti gli azionisti storici e diventa Gruppo Coima, riunendo tutte le attività del gruppo, tra cui la sgr, che gestisce 27 fondi di investimento, Coima Rem, Coima Ht, Coima Image e Residenze Porta Nuova. Resta fuori dalla holding Coima Res, che continuerà a essere quotata su Borsa Italiana.

La holding e i numeri

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Coima Holding è partecipata al 100% da Coima Founders, che vede come soci la famiglia Catella (78,8%), Micheli e Associati (7,2%), Domomedia (società della famiglia Lumina, socio , Gabriele Bonfiglioni (4,5%) e Matteo Ravà (4,5%). Lo ha annunciato in tarda mattinata, a  Milano, il ceo di Coima, Manfredi Catella, durante l’evento “Rigenerazione Italia”, organizzato dalla stessa Coima.

Gli investimenti previsti sono fino a ulteriori 5 miliardi di euro nel prossimo quinquennio con l’avvio di nuovi fondi per lo sviluppo di quartieri, residenziale e uffici.

«Il fatturato medio del quinquennio – ha spiegato lo stesso Catella – è stato di oltre 50 milioni di euro, è cresciuto di oltre il 200% rispetto al 2015, con un Ebitda medio del quinquennio sostanzialmente triplicato a oltre 18 milioni. Nel 2020 il Gruppo ha consolidato un patrimonio netto di oltre 45 milioni, senza alcun indebitamento. Mentre Coima sgr ha registrato un’eccedenza di capitale rispetto ai requisiti di patrimonio di vigilanza pari a 3,7 volte e un patrimonio complessivo stabilizzato in gestione di oltre 8 miliardi di euro, raddoppiato rispetto al 2015, con l’obiettivo di raggiungere i 10 miliardi nel prossimo triennio».
«Negli ultimi cinque anni – ha detto ancora Catella – Coima ha raccolto circa 1,8 miliardi da investitori istituzionali, per la maggior parte diretti e discrezionali, il 66% dei quali internazionali. La previsione per i prossimi anni è di raccogliere sul mercato ulteriori 2 miliardi.

Riforme e rigenerazione

Parlando di rigenerazione urbana, la pandemia ha provocato una forte crisi, ma «porta anche opportunità, anche grazie al Next Generation Eu, che porta con sé un programma di riforme e rigenerazione molto importante, che avrà bisogno di capitali anche privati per ampliare l’impatto» ha aggiunto Catella. In termini di patrimonio immobiliare, il divario tra l’Italia e altri Paesi europei è abbastanza rilevante (per esempio nel nostro Paese gli immobili costruiti prima degli anni Sessanta sono circa il 40%, in Europa il 33%, e quelli a rischio sismico in Italia sono il 70% rispetto al 30% europeo) e colmarlo sarebbe un volano importante.

«Abbiamo fatto un esercizio – ha affermato di nuovo Catella – per vedere cosa succederebbe se colmassimo questi divari: dovremmo rigenerare 100 milioni di metri quadri in Italia e per dare un ordine di grandezza dal punto di vista economico stiamo parlando di 200 miliardi, diciamo che si potrebbe fare in un Paese efficiente in dieci anni, genererebbe occupazione tra 200 e 300mila posti di lavoro all'anno e ridurrebbe il divario che abbiamo in Italia».

In Italia serve «un grossissimo investimento che il Paese deve fare sulle infrastrutture – ha aggiunto Francesca Bria, presidente di Cdp Venture Capital Sgr, sottolineando che –la banda larga è un diritto fondamentale per tutti, dal nord al sud, ma anche per le infrastrutture digitali come cloud computing, 5G, AI e dati. Tutti questi elementi sono materia prima dell’economia digitale che se messi a disposizione dei cittadini e gestiti come infrastruttura pubblica, rispettando la privacy delle persone, possono generare nuova economia e innovazione molto forte dei servizi urbani che miglioreranno la mobilità, riefficientare gli edifici, la gestione dei rifiuti urbani e passare a una città più verde, sostenibile, democratica e inclusiva».

«In Italia negli anni si è investito molto poco sulle infrastrutture – gli ha fatto eco Pietro Salini, ceo di Webuild –. Per poter progettare un futuro migliore per il Paese, è necessario prima di tutto partire dal rilancio dell'occupazione e dal sostegno alla domanda, anche grazie all'impiego di risparmi privati record, ad oggi per la maggior parte inutilizzati. Poi dobbiamo correre contro il tempo per avviare i lavori delle opere incluse nel Pnrr nel 2026, perchè la sfida è la progettazione per il futuro». Per Salini,«“non abbiamo bisogno di aspettare i tempi di attivazione del Pnrr, dobbiamo partire subito». Del resto, «eseguire le opere è sempre possibile, è la loro progettazione a rappresentare la fase più lunga e complicata». Dal momento della sua concezione al suo affidamento, prima del lancio di una gara in Italia, avverte Salini, si impiegano normalmente 10-15 anni. «Se Genova e Milano fossero già oggi unite dall’alta velocità ferroviaria, che Webuild sta realizzando – ha concluso Salini – potremmo pensare a spostamenti tra le due città in 40 minuti. Ma per realizzare tutto questo è necessario contare, come per il Ponte Genova San Giorgio, non su leggi speciali ma su un afflato continuo e collettivo in Italia, in linea con la normativa europea, che già abbiamo».


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