di Gianni Rusconi
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Un top manager sue due considera la carenza di competenze e di figure professionali adeguate fra i tre problemi più urgenti da affrontare nei prossimi tre anni per le rispettive organizzazioni. Un tema ormai discusso in tutte le sue forme quello dello skill gap, ma che rimane sempre di strettissima attualità. Anche l’edizione 2022 della ricerca “Thriving in the Global Skills Shortage: Your Path Through the Wilderness” realizzata da Cornestone People Research Lab in collaborazione con The Starr Conspiracy, che ha raccolto le testimonianze di oltre 800 business leader (fra founder, presidenti, C-Level e dirigenti) e 1800 addetti di medie e grandi imprese attive su scala internazionale, conferma questo assunto e ribadisce un’ulteriore tendenza: esiste una forte correlazione tra le performance aziendali e la qualità del supporto allo sviluppo di nuove competenze offerto al personale.
La ricerca evidenzia per l’appunto il circolo virtuoso in termini di risultati raggiunti avviato dalle organizzazioni che mettono al centro delle proprie priorità i programmi di formazione e sviluppo delle competenze, ma anche la preoccupazione per la difficoltà di accedere ai talenti. E tale distonia non è isolata. Rispetto all’edizione 2020 dello stesso studio, infatti, la differenza tra la fiducia nei programmi di apprendimento e formazione percepita dai datori di lavoro (che ritengono di aver garantito percorsi adeguati ai propri dipendenti) e quella che gli stessi dipendenti attribuiscono ai manager nel supportarli nello sviluppo delle proprie competenze è aumentata di 30 punti percentuali.
Il gap di vedute, si legge nel rapporto, si è maggiormente allargato per le imprese con performance nella media o sotto la media e sebbene la percezione dei leader circa la propria capacità di comprendere e risolvere le esigenze dei propri dipendenti sia cresciuta, il livello di “trust” di questi ultimi è in realtà sensibilmente diminuita. Solo il 55% dei lavoratori, questo il dato forse più indicativo emerso dall’indagine, ritiene che lo sviluppo delle competenze sia una priorità per la propria organizzazione.
La pandemia, come hanno rilevato gli autori dello studio, ha avuto anche in questo ambito i suoi effetti, esacerbando i problemi che già limitavano le capacità di adattamento e cambiamento delle organizzazioni e adombrando il buon fine di processi divenuti inderogabili per continuare a crescere e innovare come la trasformazione digitale. Maggiore è la forza dell’organizzazione, minore sarà quindi il rischio che il solco fra opinione dei lavoratori e management in materia di skilling e reskilling si allarghi pericolosamente.
Le aziende altamente performanti sono dunque considerate le apripista e l’esempio da seguire, anche in considerazione del fatto che tre su quattro di queste organizzazioni ha confermato di aver già dato priorità agli investimenti nello sviluppo di competenze per il prossimo anno.
Cosa fare, concretamente, per ridurre il gap di percezione sopra descritto e costruire future competenze ad alto impatto? Il vademecum che hanno stilato gli espetti di Cornestone è abbastanza esplicito e parte dal prevedere le competenze di cui l’azienda avrà bisogno in futuro e identificare quali potranno essere le potenziali mancanze in termini di skill dedicati da parte del personale. Il ricorso a una tecnologia “intelligente” per gestire le competenze e lo sviluppo della carriera è sicuramente auspicabile e ancora di più è definire in modo strategico contenuti formativi più moderni, rilevanti e personalizzati e renderli facilmente accessibili alla propria forza lavoro.
Quanto alla selezione dei talenti che possono far crescere l’organizzazione, la strada maestra da seguire è adottare un modello che privilegi (soprattutto) il personale interno all’azienda, attraverso un’esperienza in cui le competenze rappresentano il linguaggio comune per lo sviluppo della carriera delle persone e per il successo dell’azienda.
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