di Angelo Flaccavento
(AFP)
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Quella che si è chiusa domenica a Milano è stata una fashion week energica. Per il ritorno a sfilate ed eventi in presenza, certamente, ma anche per l’emergere o meglio il consolidarsi di tutta una scena di nuovi autori, da Act N.1, a Vitelli a Sunnei, che scardinano gli equilibri di un panorama statico e restio, finora, all’avvicendamento generazionale.
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Il leader indiscusso di questa new wave cittadina è Francesco Risso, che da Marni produce uno show potente per intensità emozionale e capacità di leggere il tempo presente attraverso il filtro di una moda poetica e squinternata, tutta righe e margherite. Se Risso crea un’opera d’arte totale nella quale la distanza con il pubblico è annullata - gli spettatori indossano capi della collezione - e la musica tocca una corda profonda, sono i mattatori della vecchia scuola, però, a rubare la scena, con il sensazionalismo di sempre.
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Si chiama Fendace la inattesa e dirompente collaborazione tra Versace e Fendi, due marchi italiani dall’iconografia incontrovertibile - compiaciutamente esibizionista, sensuale e mediterranea - con loghi che si sono impressi a fuoco nell’immaginario collettivo: la Medusa da un lato e la doppia F dall’altro. A differenza del modello Gucci/Balenciaga, che ha fatto da apripista ad un progetto del genere, qui si lavora sull’idea dello scambio di padrone di casa: Kim Jones, direttore artistico di Fendi, disegna una piccola collezione Versace, mentre Donatella disegna una piccola collezione Fendi. C’è tutto, dalle spille da balia al barocco alle FF, nelle rispettive interpretazioni ma con differenze non sostanziali nella linea dei capi. Il focus è piuttosto sul logo: inaudito, come un falso d’autore, quindi, c’è da credere, viatico scatenante di appetiti nel pubblico, che poi è tutto quello che conta.
La proposta moda questa stagione è quanto mai varia, in termini di estetica e pubblico di riferimento. Da MSGM, Massimo Giorgetti lavora di fluorescenze e linee svelte, pensando ai giovani, di spirito oltre che di anagrafe. Si ringiovanisce la donna di Ports 1961, e non solo perché porta gonne corte e scarponi massicci e gioielli di catene. C’è una tagliente immediatezza nei giochi di incastri e drappeggi, nel tailoring striminzito, nelle tshirt di pizzo portate come miniabiti. Da Pucci, il segno stilistico è sicuro e incisivo: una intelligente attualizzazione dello spirito del fondatore. A questo giro il beachwear, inteso come modo di vestire spontaneo e sensuale, muove dalle spiagge eleganti degli anni sessanta alla città di oggi: linee svelte, colori saturi e un fluttuar di piume ai piedi. Gli strati sbrindellati del grunge prendono luccicanze fiabesche da DSquared2, in un rinnovamento dell’estetica del marchio che è palpabile e benvenuto. È fiera e voluttuosa nel suo cappello di paglia, sensuale ed elegante nei suoi abiti di vichy o con le frange la donna di Luisa Spagnoli, un po’ cowgirl un po’ lady con il ranch.
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Da Ermanno Scervino è una esplosione di colori, piume e cristalli che celebrano la bellezza muliebre nella maniera più sentita e diretta, a qualsiasi età. È cosmopolita, in fine, la donna di Genny. Questa stagione viaggia in Grecia con un guardaroba pronto per ogni occasione: dalla città da vivere in camicia e pantaloni alla sera in barca in abito scintillante.
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