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Spagnole «rosse» a caccia di verità

di Eliana Di Caro

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 Militanti spagnole combattono per difendere il governo legittimo contro i franchisti nella Guerra civile del ’36

 Militanti spagnole combattono per difendere il governo legittimo contro i franchisti nella Guerra civile del ’36

La storia di Paula Quiñones e delle sue collaboratrici alla ricerca oggi delle fosse comuni in cui furono gettati i corpi di chi aveva combattuto contro Franco

27 giugno 2022
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4' di lettura

Piccole donne rosse è la storia di Paula, della sua collaboratrice Rosa, della sua interlocutrice epistolare (nonché voce narrante) Luz Arranz e di tutte le spagnole che hanno a cuore la verità e la memoria occultate dopo la Guerra civile, seppellite anch’esse nelle fosse comuni in cui venivano scaraventati i corpi di chi combattè contro i franchisti o semplicemente veniva considerato un nemico da uccidere: omosessuali, atei, militanti, puttane.

Ispettrice del fisco dalla mentalità pragmatica, attenta a dati e numeri, Paula Quiñones nella calura agostana arriva ad Azafrán, nella meseta spagnola, come volontaria per l’identificazione di una di quelle fosse. È un posto dove il tempo pare essersi fermato: uomini che giocano a carte nel bar e la guardano di sottecchi ribattezzandola subito “la bella zoppa” (colpa della poliomelite), donne dedite a cucinare e a pulire case traboccanti di odori ed effluvi stordenti. Più avanti canyon e paesaggi da finis terrae. Le vie portano, scolpiti, i nomi di generali franchisti.

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Il Comune ha offerto a lei e Rosa un ufficio in cui elaborare i frutti della loro ricerca meticolosa, guidata dal paleontologo forense Braña Alcañiz, già al lavoro su altre fosse. Le due donne esaminano documenti e fotografie, parlano con le persone per ricostruire generalità e caratteristiche dei parenti scomparsi, tracciano mappe del territorio.

Paula alloggia in un vecchio albergo, a dir poco delabré, di proprietà di una famiglia numerosa a capo della quale c’è Jesús Beato, che ha appena compiuto cent’anni. Per l’occasione si sono raccolti attorno al patriarca tutti i familiari: la nuora Analía (straordinariamente accudente nei confronti del centenario) e suo marito Samuel; il primogenito Luis e sua moglie Paquita giunti da Madrid; il più giovane Fausto, l’incompreso di famiglia che aveva scelto di andare a Berlino dove faceva il fagottista al Teatro dell’Opera. Senza dimenticare il nipote David, ex bambino prodigio, figlio di Analía e Samuel, con cui Paula - ancora provata dalla delusione del suo ex marito Arturo - avvia una relazione.

Da qui prende le mosse un racconto appassionante e al tempo stesso progressivamente inquietante, funzionale a spiegare che cosa è avvenuto negli anni della Guerra civile, come tanti innocenti siano stati fucilati e inghiottiti dalla terra e altri abbiano eseguito gli ordini impartiti dai falangisti, si siano macchiati di infamanti delazioni per salvarsi o peggio ancora arricchirsi. Vicende che intrecciano violenza e ignoranza, paura e ingordigia, calunnie e incapacità di reagire sprofondando in un silenzio colpevole. Quel silenzio che Paula, nipote di un sopravvissuto colpito al femore e quindi riformato, vuole rompere sfidando i segreti di una famiglia che ha molto da nascondere.

Marta Sanz

Marta Sanz ci porta nelle pieghe più bieche e meschine di questo processo e lo fa con un linguaggio che procede per addizioni, in un flusso descrittivo che non risparmia nulla a chi legge.

Le pagine in cui prendono la parola i morti, anzi i resti, sono le più intense, le più dolorose: «Siamo gente a cui è toccato trovarsi dove non avrebbe voluto essere, ma eravamo anche persone che prendevano decisioni: eravamo assessori e sindaci della repubblica, eravamo ragazze e ragazzi che cantavano l’Internazionale sapendo molto bene che cosa si rischiava, eravamo quelli che non andavano a messa. E quel modo di stare al mondo e quel canto ci rendevano umani. Fin troppo umani. E coraggiosi. Nessuno deve dimenticare che queste, oltre all’altrui avidità, sono le ragioni per le quali ci hanno ammazzati».

Nell’ultima parte si narrano gli sviluppi dei singoli personaggi della vicenda, ma la loro storia - dagli esiti truculenti, in un climax ascendente e incalzante, con qualche passaggio barocco - risulta inevitabilmente meno interessante della Storia tratteggiata subito prima.

Madrid, Valle de los Caídos

È un romanzo, tiene a sottolineare l’autrice al termine della narrazione, vite e situazioni nascono dalla sua immaginazione, ma qui protagonista è la necessità di recuperare una memoria soffocata all’indomani della guerra, quando si è deciso di voltare pagina senza fare i conti con quello che si era vissuto e subìto. Basta andare alla Valle de los Caídos, a Madrid, dove si staglia l’immensa e cupa basilica voluta da Franco, per avvertire il peso di un passato che ancora incombe: è il simbolo di una lacerazione mai ricomposta, scavata nella roccia dai prigionieri di guerra, e contiene i resti delle vittime del conflitto, quasi 35mila, di cui migliaia non identificati. Un immane, macabro ossario, ma non isolato. Sono infatti centinaia le fosse comuni sparse in Spagna.

La legge della «Memoria histórica», approvata alla fine del dicembre 2007 dal Governo Zapatero - poi seguita dalla legge per la «Memoria democrática» voluta dal Governo di Sánchez lo scorso anno - ha cercato di rispondere a un popolo che chiede di riconoscere e piangere i suoi morti, a giovani che esigono di onorare i nonni di cui hanno solo sentito parlare.

Pedro Almodóvar

Piccole donne rosse è allora più di un romanzo, è una potente denuncia del non detto, è un contributo meritorio al lento processo di rimozione dell’oblio che ha avvolto questi morti. Allo stesso modo Pedro Almodóvar ha chiuso il suo Madres Paralelas con la processione di Penélope Cruz e degli abitanti del suo villaggio d’origine, in lacrime davanti alla fossa piena di teschi e ossa.

È l’urgenza di sapere di quelle «persone alle quali la democrazia non ha mai riconosciuto merito». Così la scrittrice Almudena Grandes, scomparsa lo scorso novembre, spiegò in un’intervista a chi scrive, commentando la scelta di questo genere di narrazione, preferita anche nei suoi libri: «Permette di mostrare ai lettori spagnoli che non sanno nulla, perché non l’hanno potuto imparare dai libri di testo, che c’è stata tanta gente che ha combattuto per loro, grazie alla quale oggi vivono in una democrazia e godono di diritti e libertà». E ancora: «La memoria non ha a che vedere con il passato ma con il presente e il futuro: è la nostra grande questione pendente».

Piccole donne rosse
di Marta Sanz
Traduzione di Maria Nicola
Sellerio, pagg. 400, € 15,00

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