di Chiara Beghelli
Nina Ricci
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Negli anni Sessanta il termine “ambassador” apparteneva solo all’ambito diplomatico, e “influencer” era lungi persino dall’essere coniato. Eppure, quando Claudia Cardinale si fece fotografare nell’atelier di Nina Ricci a Parigi, per poi indossare le sue creazioni sia sul set sia sui red carpet, aiutò la maison fondata una trentina di anni prima a spiccare il volo. Probabilmente, nell’atelier di Rue des Capucines l’attrice e la stilista si saranno scambiate desideri e indicazioni in italiano, perché Nina Ricci era sì uno dei nomi più interessanti della moda francese di quegli anni, ma era nata a Torino e cresciuta a Firenze.
Un ritratto di Nina Ricci
Il suo vero nome era Maria Adelaide Giuseppa Nielli: “Nina” era nata nel 1883 nel capoluogo piemontese ma poco dopo, insieme ai quattro fratelli e alla madre, aveva seguito le peregrinazioni del padre Vincenzo, calzolaio, prima a Firenze e poi a Monte Carlo. Quando il padre morì, si trasferì con la madre e una sorella a Parigi. Aveva 14 anni e iniziò a lavorare come sarta, facendosi subito apprezzare per il suo talento, tanto che in pochi anni passò dal ruolo di assistente, petite main, a cucitrice di laboratorio, première d'atelier. Aveva invece 18 anni quando su un autobus incontrò Luigi Ricci, figlio di un gioielliere fiorentino. Si sposarono, lei cambiò il suo nome per sempre, e nel 1905 nacque il loro unico figlio Robert, che avrebbe avuto un ruolo a dir poco cruciale per il destino della madre. Ma andiamo per gradi.
A soli 27 anni Nina Ricci si ritrova purtroppo vedova, e per mantenere il figlio inizia a lavorare nella maison di Bertrand Raffin, dove presto diventa responsabile di laboratorio e poi diventare socia del proprietario. È proprio lì, a stretto contatto con le clienti, che inizia a mettere a punto la sua personale formula: nella città dove negli atelier di Chanel, Schiaparelli, Lanvin, Vionnet si succedevano clienti ricchissime, sofisticate e internazionali, Nina Ricci parlava alle signore dell’alta borghesia, anche di provincia, che non cercavano dirompenti innovazioni, esuberanze e lussi particolari, ma puntavano a un’eleganza piuttosto classica, pur se con brio, qualità e un prezzo ragionevole. Intanto il figlio Robert cresceva, era appassionato di grafica e si interessava anche di pubblicità.
Nina Ricci nel suo atelier
Fu quando Raffin morì, e la madre era sulla soglia dei 50 anni, che Robert espresse la sua visione innovativa: nel 1932 convinse la madre a lanciare il suo marchio, garantendole che lui si sarebbe fatto carico di tutti gli aspetti di business, e lei di sarebbe così potuta interamente dedicare alla parte creativa. Aprirono l’atelier di Nina Ricci a Rue des Capucines, nel cuore del 1 Arrondissement, dove la stilista dava forma alle sue creazioni non disegnando bozzetti, ma modellando i tessuti su manichini che poi inviava alla sartoria. Puntando sul fattore prezzo, inventò anche due collezioni annuali intermedie, che necessitavano soltanto di due prove e dunque erano ancora più accessibili, molto apprezzate dalle clienti più giovani. Se nel 1932 Nina e Robert Ricci avevano assunto 40 lavoranti, nel 1939 salirono a quasi 500.
L’Air du Temps, 1948
Eppure, la stampa internazionale li snobbava ancora, concentrata su altre maison parigine. Da esperto di quello che oggi definiremmo marketing, Robert ebbe un’altra intuizione: Chanel (con N.5), Guerlain (Shalimar), Lanvin (Arpège) avevano trovato la loro miniera d’oro in un profumo. Ne aveva bisogno anche Nina Ricci. Dopo alcune sperimentazioni come Coeur-Joie, Robert contatta allora l’amico Marc Lalique, figlio di René, per uno scultoreo flacone di cristallo (l’unico che Lalique produrrà per un profumo per molti anni) sormontato da una coppia di colombe che sembrano abbracciarsi, e chiede la collaborazione al naso Francis Fabron: è il 1948 quando viene lanciato L’Air du Temps, che sarà uno dei più grandi successi della profumeria del Novecento.
Le coppie creative nella storia della moda sono state e sono ancora numerose, ma il binomio madre-figlio, come nel caso di Nina e Robert Ricci, e che commistiona peraltro parte amministrativa e parte creativa, resta tuttora unico. Ma nel 1954 Nina Ricci decide di lasciare la guida creativa dell’azienda, inaugurandone inevitabilmente una nuova fase: la sostituisce Jules-François Crahay, il suo assistente, che con la collezione Crocus riesce finalmente ad avere le lodi della stampa internazionale. Crahay lascerà poi il timone a Gérard Pipart, che lo terrà per circa 30 anni. Nina intanto muore, nel 1970, e Robert 18 anni dopo: nel 1979 aveva aperto una magnifica sede in Avenue Montaigne, proprio di fronte a Dior, e alla sua morte l’azienda fatturava 156 milioni di dollari, pari a circa 407 milioni di oggi.
Robert Ricci con il flacone di L’Air du Temps
Con la scomparsa dei suoi fondatori, per Nina Ricci si apre una nuova fase: nel 1988 Elf-Sanofi entra nel capitale della ricca divisione profumi, e 10 anni dopo a rilevarla, stavolta nella sua interezza, è Puig, gigante spagnolo della cosmetica. Che infatti punta con convinzione sulle fragranze, fino a lanciarne, ad oggi, oltre 70. È la moda, proprio quella che aveva dato vita al progetto Nina Ricci, a essere ancora in cerca di autore: negli anni si avvicendano infatti numerosi designer, Peter Copping, Guillaume Henry, la coppia Rushemy Botter e Lisi Herrebrugh che però, dopo tre anni, ha lasciato la maison proprio lo scorso gennaio.
Un look della collezione PE 2023
A primavera, poi, Puig ha deciso di chiudere lo storico flagship di Avenue Montaigne e ha comunicato che Nina Ricci si concentrerà soprattutto sul digitale. Secondo quanto riportato da un articolo di Fashion Network, questo approccio digital-first potrebbe orientare anche la nomina della nuova guida creativa di Nina Ricci, che dovrebbe essere resa nota a settembre: fra i nomi sotto la lente ci sono Florentin Glémarec e Kévin Nompeix, i due creativi di EgonLab, molto proattivi nel campo delle creazioni Nft.
Chiara Beghelli
Redattore
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