di Marcello Minenna
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La crisi energetica non riguarda più solo il gas naturale. Le tensioni si stanno estendendo rapidamente ai mercati di petrolio e carbone, che erano rimasti largamente non coinvolti durante la crescita esponenziale del prezzo del gas verificatasi l'estate scorsa.
Nel mese di ottobre il prezzo del gas sui mercati internazionali si è largo circa stabilizzato – pur rimanendo molto volatile – consolidando un rialzo del 700% in 6 mesi. Nello stesso periodo il prezzo del greggio è cresciuto del 27% mentre il carbone ha sperimentato un incremento di prezzo di oltre il 50%, inusuale per una commodity caratterizzata storicamente da una volatilità molto bassa (cfr. Figura 1).
Solo pochi giorni fa l'amministratore delegato di Saudi Aramco, la più grande compagnia petrolifera del pianeta, ha dichiarato che la capacità di adeguarsi dell'offerta globale di petrolio all'aumentata domanda si sta riducendo più in fretta del previsto. Nel frattempo il prezzo toccava la soglia degli 85$ al barile, mai più sperimentata da oltre 7 anni.
Effettivamente da maggio 2021 la forte domanda di petrolio non viene soddisfatta da un adeguato incremento dell'offerta e sta intaccando gli stock di greggio e prodotti raffinati sia in Europa che oltreoceano (cfr. Figura 2, circa -15% per le due aree). In special modo stanno soffrendo le scorte di petrolio light sweet, cioè quello di alta qualità, leggero e poco costoso da raffinare. Il sito di stoccaggio USA di Cushing, tra i più grandi al mondo per il light sweet, sta registrando una velocità di declino delle scorte doppia rispetto agli stock totali.
Per quanto riguarda l'Unione Europea (UE), è possibile decomporre analiticamente il calo degli stock per categorie al fine di capire quale prodotto abbia inciso maggiormente. Pur non disponendo dei dati più recenti (cfr. Figura 3), si può agevolmente notare il trend discendente degli stock che sembra riguardare non solo il greggio grezzo ma anche le riserve di prodotti raffinati. A luglio 2021 (ultimo dato disponibile) il calo è stato tra i più forti mai registrati, particolarmente marcato per diesel e GPL (gas propano, -18 milioni di barili), benzina (-10 milioni) e greggio (-11,5 milioni).
Il surplus di capacità produttiva globale (cioè il massimo incremento di produzione teoricamente ottenibile da riserve note o facilmente raggiungibili) al momento è previsto rimanere stabile intorno ai 5 milioni di barili al giorno (mb/g, cfr. Figura 4), anche se la previsione è stata rivista più volte al ribasso.
Il limite a cui si riferisce l'amministratore delegato saudita va inteso più che altro in senso politico, perché l'OPEC (il cartello globale dei Paesi produttori) nel suo percorso di graduale aumento dell'offerta petrolifera aveva previsto di stabilizzare la produzione a partire da gennaio 2022. A fronte delle crescenti pressioni da parte delle economie industrializzate e di una domanda crescente, non è escluso che la produzione verrà ritoccata al rialzo in tempi brevi.
Al di là di una domanda in decisa crescita per via della ripresa economica globale in corso, le ragioni della recente fiammata del prezzo dell'oro nero vanno cercate principalmente in un effetto contagio dal mercato del gas naturale.
I canali di trasmissione delle pressioni al rialzo dei prezzi del gas sono multipli: da un lato – soprattutto nei Paesi del Sud-Est asiatico ed in Giappone – gli altissimi prezzi del gas naturale stanno spingendo le aziende produttrici di elettricità a bruciare petrolio nelle centrali ad olio combustibile: secondo Saudi Aramco questo switch gas-to-oil potrebbe valere 400.000/750.000 di barili al giorno in più di domanda di greggio per quest’inverno che non erano stati previsti dall'OPEC.
Questo fenomeno non dovrebbe verificarsi in Europa perché le centrali ad olio combustibile ancora operative sono rimaste poche e l’uso del petrolio per generare elettricità è scoraggiato dagli alti costi dei certificati di CO2 (il petrolio è un combustibile meno pulito rispetto al gas).
Ma c'è dell'altro. Storicamente si è sempre osservato che prezzi dell'energia in crescita hanno stimolato la crescita dell'offerta da parte dei produttori al di fuori del cartello OPEC. In particolare si attendeva una risposta significativa della produzione USA di shale oil, la cui profittabilità è assai sensibile alle variazioni del prezzo per via del frazionamento del mercato che vede un elevato numero di piccoli/medi operatori.
In realtà, come si può apprezzare con un discreto colpo d'occhio, la produzione di shale oil è sostanzialmente stagnante intorno agli 8 milioni di barili al giorno; il tasso di crescita è solo lievemente positivo e de facto poco sensibile alle variazioni di prezzo (cfr. Figura 5).
La risposta a questo paradosso va cercata nei costi di produzione dello shale oil, che stanno crescendo di pari passo con i ricavi potenziali. Innanzitutto nel mercato del lavoro post-pandemico USA, le imprese petrolifere stanno avendo molte difficoltà nel ricostituire la forza-lavoro qualificata ed esperta che era stata licenziata in massa tra marzo ed aprile 2020.
Le assunzioni peraltro avvengono lentamente ed obbligatoriamente a livelli di salario molto più alti, visto il tasso di inflazione attuale che supera ampiamente il 5%. Le condizioni di finanziamento per le aziende sono inoltre molto più restrittive rispetto al periodo di boom della produzione caratterizzato da denaro “facile” in ingresso da fondi di investimento speculativi e non.Infine lo shale oil è per definizione un petrolio “pesante”, da sottoporre ad una elaborata procedura di raffinazione (il cosiddetto hydrocracking) che richiede la combustione di elevate quantità di gas naturale.
Di conseguenza se il prezzo del gas cresce a dismisura come accaduto recentemente i costi di produzione dello shale oil possono superare i benefici derivanti dall'aumento (più limitato) del prezzo di vendita.In definitiva non c'è da aspettarsi per i prossimi mesi l'arrivo della “cavalleria” Usa a calmierare i prezzi sul mercato dell'energia.
Da maggio 2021 le pressioni al rialzo dei prezzi sono apparse anche sui mercati del carbone, storicamente caratterizzati da prezzi bassi e stabili. Paradossalmente l'impennata della domanda di carbone è avvenuta in concomitanza con il phasing out progressivo dal mix energetico dei Paesi industrializzati di questo combustibile molto inquinante nella prospettiva della transizione energetica.
Spiazzata anche la Cina: appena a settembre Pechino aveva annunciato lo stop al finanziamento di nuove centrali a carbone all'estero come parte di un'ampia strategia di defunding del carbone mentre le importazioni dall'Australia, suo principale partner commerciale su questa commodity, erano state interrotte per una disputa politica.
Come conseguenza, i margini per un aumento dell'offerta di carbone a livello globale si sono mostrati ridotti. In Europa la richiesta di carbone per elettricità è risultata amplificata dall'altissimo prezzo del gas naturale e dalle condizioni meteo che hanno imposto un ridotto sfruttamento delle fonti rinnovabili.
Nel terzo trimestre 2021 le centrali a carbone del vecchio continente hanno generato 110 Terawattora contro i 92 generati dal gas naturale, ribaltando un trend di declino decennale.Se si osserva con attenzione l'andamento della volatilità annualizzata a 3 mesi del prezzo del carbone sui mercati internazionali (cfr. Figura 6), si nota un break strutturale proprio a partire da maggio 2021.
Fino ad allora il prezzo del carbone è stato stabile, in misura 10 volte maggiore rispetto a quello del petrolio. In seguito le oscillazioni del prezzo sono aumentate progressivamente ed ad ottobre 2021 il carbone mostra un livello di volatilità comparabile a quello del petrolio, un risultato storicamente sperimentato soltanto durante la crisi finanziaria internazionale del 2008-2009.
In conclusione, sembra che la chiave di volta per scongiurare una crisi energetica in piena regola nel corso dell'inverno rimanga il mercato del gas, in special modo in Europa dove non è possibile la sostituzione gas/petrolio. Questo implica, volenti o nolenti, un'enorme influenza della Russia che è l'unico Paese in grado di sopperire alle richieste energetiche del continente.
Non è un caso che Putin stia usando l'emergenza gas a mo' di clava politica per accelerare l'approvazione definitiva del gasdotto Nord Stream 2 che dovrebbe bypassare i confini ucraini.Le ultime proiezioni economiche stanno internalizzando questo nuovo scenario, abbassando drasticamente le stime di crescita per i Paesi europei. Tempi duri per la ripresa globale.
Marcello Minenna, Direttore Generale dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli
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Marcello Minenna
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