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Quando il Bacio Perugina regnava sui mercati globali

di Simone Filippetti

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28 luglio 2017
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4' di lettura


A Perugia ancora si ricordano EuroChocolate del 2011: c’era un’immensa Italia di cioccolato, con tanto di monumenti al cacao, lunga 12 metri e pesante 14 tonnellate. La kermesse dolciaria, arrivata alla soglia delle 25 candeline, ha trasformato Perugia nella capitale, un po’ «caciarona», del cioccolato con orde di golosi che riempono la città, per la felicità di albergatori e negozianti del centro storico.
Il cioccolato sta a Perugia come il petrolio al Texas: oro nero. Ma la Mecca dei golosi è in crisi. Per accorgersene, però, bisogna spostarsi dalla centralissima Fontana dei Priori, in periferia, a San Sisto, 14mila anime. Era il 1907 e In quello che era un borgo rurale di contadini, Luisa Spagnoli, che sarebbe diventata famosa con la moda e ancora oggi il suo nome compare nelle vetrine di tutto il mondo, aprì, con 100mila lire, una “Fabbrica di Confetti”. Era un’imprenditrice visionaria; e per di più donna, in una terra ancora di cultura feudale.
Da lì nacque la Perugina che inventò il Bacio, probabilmente il cioccolatino più buono al mondo. La carta argento con le stelline la sua confezione blu coi due amanti (creazione di Federico Seneca, celebre grafico pubblicitario del Dopoguerra e ispirata al bacio più famoso della storia, quello del pittore Francesco Hayez) sono diventati pezzi di storia del paese. Ma ora la Nestlè, proprietaria della Perugina dal 1988, sta per far cadere una pesante mannaia su San Sisto: tagliare 340 dipendenti, che significa quasi dimezzare i lavoratori, già ridotti al lumicino e in cassa integrazione da anni. Lo spettro agita i sindacati che sono scesi sul piede di guerra e sfilano a Roma.

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Il tutto potrebbe essere derubricato a una delle tante storie di deindustrializzazione del paese. Invece a Perugia va in onda una sorta di psicodramma pirandelliano: la Nestlè che vuole valorizzare i marchi, ma poi li vende; i sindacati che protestano sono i medesimi che l’anno scorso hanno firmato un accordo di crisi che prevedeva il taglio dei dipendenti. E i vecchi padroni rinfacciano pesanti accuse ai sindacati. Era tutto scritto nero su bianco, ma non era quantificato il numero, che ora spaventa Perugia, capoluogo di una regione già povera di industrie, ma fin troppo ricca di centri commerciali giganti che hanno deturpato il paesaggio e impoverito i borghi medievali.
Federico Seneca e Luisa Spagnoli sono ormai un ricordo sbiadito di quando Il cioccolato della Perugina era il migliore d’Italia, un marchio inarrivabile. Negli anni 70 l’azienda arrivò a contare 5mila dipendenti (10mila con l’indotto), la più grande industria della regione. Oggi sono 823, compresi gli stagionali. La rampolla Spagnoli aveva sposato Francesco Buitoni, il signore della pasta, ma il gruppo alimentare finì nell’impero di Carlo De Benedetti che fu costretto a sacrificarlo dopo la batosta presa in Belgio con la funesta scalata alla Societe Generale. Perugina e Buitoni passano a Nestlè.

Le cose, però sotto la gestione, ormai trentennale, della multinazionale non hanno fatto faville: il Bacio non è al passo coi tempi, si dice, e l’occupazione è andata inesorabilmente calando. Una lettera, datata 15 giugno, è stata spedita a 340 dipendenti: Perugina deve ristrutturarsi e deve ridurre l’organico perché sarebbe spropositato. In effetti il cioccolato ha un problema: si vende solo 9 mesi l’anno. Lo sanno bene alla Ferrero che su un problema hanno costruito una vincente campagna di marketing: non produce cioccolato in estate per garantire la qualità. E infatti la Ferrero in estate vende EstaThè. Nell’industria si chiama destagionalizzazione. Anche la Perugina aveva i suoi prodotti alternativi al cioccolato: la storica caramella Rossana, inventata anch’essa da Luisa Spagnoli in omaggio alla donna amata da Cyrano de Bergerac, che ha stregato, con la sua carta rossa, generazioni di ragazzini (tra cui il premio Oscar Paolo Sorrentino, che la fa scartare nel suo film La Giovinezza); e i pasticcini Le Ore Liete, altro nome storico. Ma la Nestlè li ha venduti. Il motivo? Focalizzarsi sul cioccolato di qualità, che però deve essere destagionalizzato. Ma la destagionalizzazione che la Nestlè ha in mente non è di prodotto ma geografica: fare del Bacio un marchio globale, da vendere in tutto il mondo, anche se in Italia è estate. Come ha fatto con la SanPellegrino, acqua minerale che ora è in tutti i ristoranti chic del mondo. Miracoli della globalizzazione: e per questo la casa svizzera ha spedito a San Sisto Valeria Norreri, la manager del successo SanPellegrino. Il Bacio sarà il fiore all’occhiello, promettono in Nestlè: intanto, però, la Perugina fa da terzista di cialde biscotto per i gelati Nestle. Produzioni industriali che nulla hanno a che vedere con il cioccolato di eccellenza. Pare sia stata anche questa una richiesta dei sindacati per salvare la piena occupazione.

I sindacati hanno anch’essi responsabilità: ironia della sorte sono gli eredi Spagnoli a puntare il dito. Il padrone che si schiera coi lavoratori e rinfaccia ai sindacati di non aver difeso il lavoro. Controsensi post-capitalisti nella regione più rossa d’Italia, roccaforte del sindacalismo d’antan, che però firma un documento e poi ammette candidamente di non averlo capito. Carla Spagnoli non risparmia accuse nemmeno alla gestione della multinazionale: «La Nestle uccide la nostra storia. Non hanno intenzione di investire nei prodotti della Perugina». Non è solo un problema del Bacio, a dire il vero. tutta Nestlè in Italia soffre. Nel 2015, ultimo bilancio disponibile, in Italia gruppo ha chiuso in perdita (per 15,5 milioni) su un fatturato in calo. L’industria dei dolciumi, nel mondo, è ormai tutta in mano a multinazinali, i prodotti sono standardizzati e automatizzati. Negli anni '70, sul Bacio la nocciola veniva messa a mano da 4 signore e poi una volta che la copertura al cacao si era raffreddata, ogni bon bon veniva inscatolato a mano. Un’artigianalità che però non è più compatibile con il mondo moderno e il turbocapitalismo affamato di produttività e profitti. Lindt, altro colosso elvetico del cioccolato, ha oggi metà dei dipendenti della Perugina. E su questo Nestlè si fa forte per giustificare il pesante taglio di personale: rifiutano ogni scenario apocalittico, anzi il super manager per l’Italia, Leo Wencel, rilancia. Con questi tagli, il Bacio diventerà un prodotto di successo in tutto il mondo. Ma siccome oggi il mondo si muove sui social media, ecco che nel “simulmondo” di Facebook sono già nati i primi gruppi di protesta: boicottare il Bacio per protesta contro la Nestlè. L’ultima cosa di cui a San Sisto hanno bisogno.

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