di Patrizia Maciocchi
Da Gran Bretagna sì all'estradizione di Assange verso gli Usa
2' di lettura
I crimini contro l’umanità non si prescrivono. A prevederlo è il diritto internazionale che prevale anche sulla nostra Costituzione. Partendo da questo principio la Cassazione ha accolto il ricorso del Governo argentino contro il no all’estradizione di don Franco Reverberi, opposto dalla Corte d’Appello per mancanza di gravi indizi in merito alle accuse di crimini contro l’umanità e tortura, mosse da Buenos Aires al prete italiano.
La Suprema corte ha depositato le motivazioni con le quali, il 30 giugno scorso, ha annullato la sentenza della Corte d’Appello che aveva rifiutato la consegna, per l’assenza di gravi indizi e per la prescrizione. Una decisione che la Cassazione (sentenza 29951) cancella rinviando alla Corte territoriale per un nuovo giudizio. Ha infatti sbagliato la Corte d’Appello a sindacare le conclusioni raggiunte dall’autorità giudiziaria argentina, considerando scarsa la loro “tenuta”. Per l’estradizione, ai fini di un processo, è, infatti, sufficiente valutare la documentazione fornita dallo stato richiedente. E, ad avviso della Suprema corte, lo stato richiedente ha «rappresentato adeguatamente il quadro indiziario a carico dell’estradando nell’esposizione dei fatti».
Fatti di dominio pubblico, avvenuti durante la dittatura dei militari, instaurata con il golpe del ’76. Durante il regime dei colonnelli è stata adottata una repressione sistematica degli oppositori, torturati o uccisi facendo ricorso a detenzioni illegittime, con sparizioni che hanno riguardato circa 30 mila dissidenti.
In questo contesto si inquadrano le accuse di crimini contro l’umanità e tortura, rivolte al parroco italoargentino, che vive e svolge il suo ruolo di sacerdote a Sorbolo, il paese in provincia di Parma dove è nato nel ’37. Per le autorità giudiziarie di Buenos Aires don Franco Reverberi, come cappellano della “Casa Departamental” a San Rafael, avrebbe presenziato, in abiti militari, alla tortura di almeno dieci persone.
Ad inchiodare il prete alle sue responsabilità sono alcuni sopravvissuti alle sevizie, secondo i quali il cappellano militare dell'esercito, invitava a confessare le colpe per avere un «sollievo spirituale». Inducendo così, scrivono i giudici, le vittime a sentirsi abbandonate da tutti, anche da Dio. Pur non partecipando materialmente alle torture Reverberi avrebbe svolto un ruolo nei crimini, rafforzando il proposito dei carnefici e aumentando la sofferenza delle vittime.
Tra i capi d’accusa anche il concorso nella morte del giovane dissidente José Beròn. Nelle carte fornite dalle autorità argentine, sono chiare le contestazioni mosse al sacerdote. La sua presenza anche nel corso delle sevizie più brutali e mortali, come il “sottomarino” - una pratica con la quale il detenuto veniva immerso con il viso in un secchio d’acqua fino ad invocare la morte - era di supporto ai torturatori, mentre mai aveva svolto la sua funzione di cappellano. Ora, la Corte d’appello dovrà tenere conto delle indicazioni della Cassazione. E don Reverberi rischia di tornare in Argentina per farsi processare. Nel paese che lo aveva accolto a 11 anni quando aveva lasciato Sorbolo per emigrare con la famiglia.
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy