di Rita Fatiguso
La Cina sanziona Alibaba, multa antitrust da 2,8 miliardi
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Pechino ha iniziato a pianificare il lancio della sua moneta digitale con largo anticipo, almeno sette anni fa.
Sembrava quasi una follìa per un Paese dotato di una divisa non convertibile, il cui valore viene deciso giornalmente non dal mercato ma dalla Banca centrale nell’ambito di una “forchetta” di oscillazione del 2 per cento.
La marcia del China’s digital currency program, meglio noto come Digital Currency Electronic Payment (DCEP), invece, sta accelerando il ritmo. Con qualche senso di colpa, come quando a fine 2020 è scoppiato il caso di un’anziana che si era vista negare un pagamento in contanti: una circolare della Banca centrale ha stabilito quali pagamenti sono esclusi dalla moneta virtuale.
Già il Quinto Plenum aveva auspicato un avanzamento deciso del programma, la Plenaria del Parlamento in seduta comune, a marzo, ha fatto il resto inserendo il DCEP nel Piano di lungo periodo fino al 2035, e il quadro giuridico, ormai, è tale che lo yuan digitale ha ottenuto espressamente lo stesso status della moneta fisica.
Non solo. Ha potuto contare su uno sponsor d’eccezione ampiamente riconosciuto a livello internazionale, l’ex Governatore della Banca centrale Zhou Xiaochuan, che l’ha promosso in mezzo mondo stigmatizzando la differenza tra Cina e resto del mondo - Usa, Canada, Giappone, Regno Unito, Svezia, Svizzera e Unione Europea: la Cina è interessata a sperimentarla in casa propria, non negli scambi con l’estero.
Ma le cose cambiano in fretta, e non solo perchè le Bahamas con il loro Sand dollar hanno bruciato lo yuan sul filo di lana arrivando prime alla meta. In questo momento per i vertici di Pechino la moneta digitale si sta rivelando un’arma micidiale per conquistare il regno di Alibaba e Tencent che, da soli, attraverso le piattaforme Alipay e WeChat Pay, hanno il monopolio dei pagamenti digitali.
Oltre alle supermulte dell’Antitrust ci sono le direttive degli enti di controllo, come la Banca centrale che ieri ha imposto ad Ant Group, la fintech che fa capo ad Alibaba di Jack Ma, di rescindere «i legami impropri» con la piattaforma di pagamenti online Alipay. Insomma, il “divorzio” delle piattaforme dal sistema bancario tradizionale perché è in arrivo, per loro, la gestione centralizzata della moneta digitale. Ciononostante ieri in Borsa Alibaba guadagnava circa il 10 per cento. Vale a dire la mossa per dare scacco matto ai giganti dell’e-commerce troppo indipendenti ai quali è imputabile un terzo del Pil cinese. Alibaba & co, infatti, sono stati costretti ad aderire al DCEP attraverso i test pilota insieme ai produttori di telefonini, tra cui Xiaomi, ai POS, agli ATM.
Sono partiti test localizzati in almeno quattro città, tra cui Shenzhen e Suzhou, ora però in un contesto geopolitico sempre più complicato - specie sul fronte europeo - i test cinesi si spostano decisamente sui pagamenti cross-border.Un tabù è caduto. La Banca centrale cinese sta testando lo yuan virtuale anche oltre i suoi confini. Ai residenti di Hong Kong è stato permesso di utilizzare durante un’intera giornata la moneta virtuale per effettuare pagamenti nella vicina Shenzhen, facendo leva sulle caratteristiche tipiche delle Free trade zone.
Del resto è comprensibile, l’internazionalizzazione del renmimbi in forma classica segna il passo, ma Pechino non si rassegna e vuol continuare a farne lo strumento principale per sostenere gli scambi commerciali.
Ha ricominciato, in piena pandemìa, a tessere la tela, specie in Asia, assicurandosi, ad esempio, che il renminbi possa giocare un ruolo chiave in quel safety net, la rete di sicurezza finanziaria regionale da 240 miliardi di dollari appena entrata in funzione, segnando un passo fondamentale verso l’autosufficienza finanziaria dei Paesi partecipanti che utilizzano valute locali allentando la dipendenza dal dollaro Usa. Cina, Giappone, Corea del Sud e i dieci Paesi Asean, l’anno scorso hanno aggiornato l’accordo CMIM (Chiang Mai Initiative Multilateralization): d’ora in poi le valute locali si affiancano al dollaro in caso di finanziamenti urgenti e, per giunta, con un tetto più alto. Ben 192 miliardi sono addebitabili a Cina, Giappone, Corea del Sud; 48 ai Paesi Asean.
Ma la vera novità è che, dopo l’esperimento spot con l’Hong Kong Monetary Authority, lo yuan virtuale sta cercando (e la troverà) la strada degli scambi cross-border anche con Corea del Sud, Singapore e Tailandia.
Rita Fatiguso
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