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Remote working: come evitare che qualche risorsa rimanga indietro?

di Francesca Contardi *

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(REUTERS)

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Chi è entrato in azienda in piena pandemia spesso non ha potuto vivere una fase fondamentale per l’apprendimento e lo sviluppo della carriera

15 giugno 2022
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3' di lettura

In questo periodo di gran fermento sul mercato del lavoro, iniziano a farsi sentire i primi contraccolpi legati ai due anni che abbiamo passato, totalmente o solo in parte, in remote working. Questi effetti, oltre ad essersi manifestati sui profili più senior, iniziano a vedersi sempre più chiaramente su coloro che hanno iniziato il loro primo lavoro durante il Covid-19 e che, magari, non hanno mai messo piede in azienda in maniera continuativa almeno fino a settembre 2021.

Emerge un quadro molto particolare: se da una parte, infatti, ci troviamo di fronte a una generazione che ha saputo adattarsi alla velocità della luce a un cambiamento epocale, non possiamo negare, dall’altra, che si tratta di persone che non hanno potuto vivere tutta una fase fondamentale per l’apprendimento professionale e lo sviluppo della carriera. Mi riferisco a tutte le esperienze che si vivono in azienda durante le prime settimane e i primi mesi lavorativi.

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Chiunque abbia iniziato una nuova avventura professionale prima di marzo 2020 sa che, nelle prime giornate, si svolgono una serie di attività che potrebbero influenzare la vita in azienda anche nei periodi successivi: ascolto, confronto con i nuovi colleghi, osservazione di ciò che accade in ufficio, riflessioni sul clima o sull’ambiente di lavoro. Ricordo perfettamente il mio primo giorno di lavoro all’Università Federico II di Napoli con il professor Masturzo del Dipartimento di Gestione della Produzione Industriale. All’epoca non ero ancora laureata, i PC giravano ancora in DOS e non c’erano tante donne in giro.

Mi è rimasta perfettamente impressa l’immagine degli uffici, i consigli dei colleghi che mi hanno accolto come un pulcino bagnato e le prime riunioni con il professore che cercava di costruire un gruppo di lavoro. Molti di quei consigli sono parte integrante di quello che sono diventata oggi. Chi ha iniziato a lavorare in piena pandemia, e quindi in remote working, ha vissuto (e sta vivendo) una realtà completamente diversa. Non posso non chiedermi che genere di esperienza abbia fatto oppure che tipo ti insegnamenti e ricordi avrà la possibilità di portare nella carriera futura.

Alcune ricerche hanno già dimostrato che chi ha vissuto questo tipo di esperienza ha un minore attaccamento alla cultura aziendale: immaginatevi cosa vuol dire imparare una cultura aziendale solamente a distanza, facendo riunioni durante le quali il collega spegne la telecamera e non si mostra o con la connessione non buona che va e viene per metà del tempo. O magari creare un team affiatato lavorando solo via Zoom o Skype, in sale virtuali con colleghi che non si sono mai incontrati dal vivo.

In una situazione simile è indispensabile usare immaginazione e creatività, qualità che nel prossimo futuro saranno sempre più richieste e che nessun computer o robot potranno mai sostituire, almeno nel breve periodo. Iniziare a lavorare in queste condizioni, non possiamo negarlo, è molto complicato. I professionisti più giovani avranno bisogno di essere seguiti in maniera più approfondita dalle aziende, di essere affiancati con costanza e di avere accanto manager capaci di colmare eventuali carenze emotive accentuate da questi ultimi 2 anni molto complicati. I team HR e il management dovranno investire maggiori risorse per coinvolgere le persone e pianificare percorsi di mentoring che aiutino i più giovani a vivere questo momento nella maniera migliore possibile.

* Managing Director di EasyHunters


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