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Capital Group: «Banche centrali attente: stabilità finanziaria in pericolo»

di Maximilian Cellino

Gb, Truss: "Dietrofront su taglio tasse ai ricchi? Non era parte centrale manovra"

Per l'economista Lind il mondo non è più abituato a inflazione e tassi elevati. Le conseguenze di mosse aggressive di politica monetaria possono essere significative e non vanno sottovalutate

11 ottobre 2022
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3' di lettura

Riportare l’inflazione sui livelli desiderati sì, ma a quale prezzo? Il dilemma che attanaglia le Banche centrali in questo periodo divide anche la comunità finanziaria, che osserva con sguardo dubbioso le mosse energiche di politica monetaria già attuate e soprattutto quelle in programma nei prossimi mesi. «Le Banche centrali devono agire con cautela, perché il rischio di causare danni elevati all’economia e anche alla stabilità dei meccanismi finanziari è significativo», riconosce Robert Lind, economista di Capital Group, riallacciandosi in primo luogo agli eventi che hanno turbato i mercati britannici nelle ultime due settimane dopo il criticato annuncio di un taglio delle tasse (poi ritirato) da parte del nuovo governo guidato da Liz Truss.

L’avvertimento britannico

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«Gli operatori hanno iniziato subito a prezzare un maxi-rialzo del costo del denaro da parte della Banca d’Inghilterra e i tassi dei mutui sono volati in alto oltre il 6% come non accadeva dal 2008, mettendo in crisi molte famiglie con i pagamenti», ha ricordato Lind durante il Capital Group Media Day che si è tenuto proprio nella sede londinese della società di investimento Usa e puntando così il dito sulla fragilità del sistema finanziario. «Veniamo da almeno un decennio di inflazione limitata e di tassi ancora più bassi ai quali l’economia non era più abituata - avverte l’esperto - quindi un raddoppio dei costi a servizio del debito può avere conseguenze molto significative e da non sottovalutare».

Veniamo da almeno un decennio di inflazione limitata e di tassi ancora più bassi ai quali l’economia non era più abituata, quindi un raddoppio dei costi a servizio del debito può avere conseguenze molto significative e da non sottovalutare

La questione non è naturalmente legata al solo Regno Unito: è molto più diffusa, in Europa e anche negli Stati Uniti, e i paragoni che vanno per la maggiore sono con gli scenari altamente inflazionistici che risalgono ormai a 40-50 anni fa. «Oggi viviamo però in un mondo più fragile rispetto a quello dei primi anni 80 che aveva permesso alla Federal Reserve allora guidata da Paul Volcker un ciclo di rialzi talmente sostenuto da essere tuttora ricordato», sostiene l’esperto di Capital Group, che non sembra dunque credere fino in fondo a Banche centrali pronte a non alzare il piede dall’acceleratore finché non avranno raggiunto il traguardo che adesso hanno chiaro in mente.

Inflazione o stabilità finanziaria? Due tassi diversi

«Ritengo piuttosto - è questa la sua tesi di fondo - che esista un tasso di interesse coerente con la stabilità finanziaria inferiore a quello necessario al raggiungimento degli obiettivi di inflazione delle banche centrali e che queste, avendo la possibilità di scegliere, preferiranno garantire la stabilità finanziaria piuttosto che riportare a tutti i costi la dinamica dei prezzi verso i livelli desiderati».

Il controllo delle aspettative sui prezzi

Il compito di Fed, Bce, BoE e degli altri appare in ogni caso ulteriormente complicato da fattori che non hanno soltanto a che fare con i soli fondamentali macroeconomici: si sono anzitutto messe in moto in ritardo e sembrano per questo soffrire di una sorta di senso di colpa . «Le Banche centrali sembrano convinte di aver perso il controllo delle aspettative sull’inflazione core e per questo sono quindi disposte a muoversi con grande velocità nel rialzo dei tassi», segnala Lind , precisando come «non è detto che questa sia la realtà, ma i banchieri restano molto sensibili all’argomento e si comportano di conseguenza mettendo ancora più a rischio la crescita».

Il nodo delle politiche fiscali

C’è poi da considerare il ruolo delle politiche fiscali, al momento ancora espansive e con il rischio di diventarlo sempre più per coprire il costo di interventi atti a frenare l’impatto dell’aumento delle bollette energetiche su famiglie e imprese. La Germania, col suo piano da 200 miliardi di euro, insegna a questo proposito, per non scomodare addirittura la maldestra operazione del governo britannico ricordata poc’anzi. «Il rischio che le Banche centrali debbano intervenire anche per far fronte a misure fiscali eccessivamente lassiste adottate dai singoli Paesi - osserva ancora l’economista di Capital Group - è più che concreto» . E con questo anche il pericolo di una «reazione eccessiva» che faccia precipitare l’intero sistema finanziario dalla padella nella brace.

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