di Celestina Dominelli e Gianni Trovati
Consumers Forum: il Recovery Plan e le sfide energetiche
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Con la lettera di convocazione dei grandi elettori firmata il 4 gennaio dal Presidente della Camera, Roberto Fico, parte ufficialmente la corsa al voto per il Quirinale, che archiviata la legge di bilancio monopolizza ormai l’attenzione di una politica ancora avvolta nella nebbia sulle strategie per il Colle e quindi sui loro possibili esiti.
A occupare le scrivanie governative che contano, però, sono le tappe di un’altra corsa, ancora più impegnativa: quella del Pnrr. Dopo il filotto dei 51 obiettivi 2021 realizzato in extremis con la pubblicazione sull’ultima «Gazzetta Ufficiale» dell’anno del regolamento sullo sportello unico doganale e le lettere di impegno firmate dalle Regioni per il reclutamento dei mille esperti, per l’avvio del 2022 il programma concordato con la commissione prospetta un’altra marcia a tappe forzate: in un calendario che come sempre non contempla l’ipotesi di stallo nell’azione governativa.
In gioco ci sono i 24,1 miliardi di euro della seconda rata, divisi fra 11,5 miliardi di sussidi e 12,6 miliardi di prestiti. Per ottenere i primi l’Italia deve centrare 21 tra “traguardi” e “obiettivi”, le due voci che nel lessico del Pnrr distinguono i risultati qualitativi e quantitativi, mentre la lista delle cose da fare per non rischiare di perdere la quota di prestiti sono 24. In tutto 45 mosse, insomma, con una media di 7 adempimenti abbondanti al mese difficilmente compatibile con scenari per ora ipotetici da crisi di governo.
Perché è vero che una serie nutrita di queste mosse indispensabili per ottenere il nuovo bonifico comunitario saranno il frutto di un lavoro squisitamente tecnico, che per esempio dovrà avviare le procedure di assunzione nei tribunali amministrativi, aggiudicare gli appalti per i progetti sui campioni nazionali sulle tecnologie abilitanti in Ricerca e Sviluppo o firmare l’accordo finanziario con Cassa depositi e prestiti per il sostegno alle start-up.
Nell’elenco dei compiti ci sono però anche 9 leggi primarie e 28 atti normativi collegati. E riguardano temi che impongono scelte politiche decisive per l’azione di governo.
Il Fisco, prima di tutto. Mentre l’esame parlamentare della delega sulla riforma fiscale anticipata dal primo modulo su Irpef e Irap in legge di bilancio sta per entrare nel vivo alla commissione Finanze della Camera, entro marzo il governo è chiamato a misurarsi su un’altra tappa cruciale nella lotta all’evasione. Quella che mette nel mirino l’Iva.
Sul punto la battaglia elettronica delle banche dati e dell’infrastruttura tecnologica necessaria a far decollare la dichiarazione precompilata, su cui l’agenzia delle Entrate è al lavoro da tempo, rappresenta solo una delle mosse previste dal Pnrr, che fra le altre cose chiede anche di rimettere mano a “sanzioni effettive” a carico degli esercenti che rifiutano i pagamenti digitali: argomento su cui nella maggioranza si nutrono le idee più diverse.
Sulla colonna delle uscite è invece attesa la definizione degli obiettivi spending review per gli anni 2023-25. Argomento fin qui lasciato in ombra dall’espansione fiscale favorita anche dalla sospensione delle regole fiscali comunitarie, la spending review è il cuore della politica di governo, come mostrano anche i tentativi non troppo fortunati del passato di dare al dossier una connotazione solo tecnica affidandolo a commissari in genere entrati in rotta di collisione con premier e ministri.
Tanto più che il Recovery chiede al Paese di fissare obiettivi di risparmio caratterizzati da “un livello di ambizione adeguato”. Al ministero dell’Economia è stata creata nei mesi scorsi la struttura rafforzata di monitoraggio della spesa (lo prevedeva uno dei 51 obiettivi del 2021). Il suo compito è quello di offrire un quadro più dettagliato possibile delle scelte da compiere. Compito del governo sarà compiere quelle scelte.
Anche in questo caso le idee nella maggioranza che oggi sostiene il governo Draghi promettono di coprire un quadro parecchio ampio. E la stessa prospettiva riguarda la revisione del Codice degli appalti del 2016, anch’essa in programma per i primi 6 mesi di quest’anno insieme alla legge delega sulla Pubblica amministrazione per mettere a sistema il rafforzamento delle competenze, la revisione delle procedure concorsuali e delle modalità di selezione dei dirigenti, gli incentivi alle carriere, la definizione una strategia per la formazione continua e la revisione del codice etico. Molti di questi capitoli sono stati anticipati nell’intensa produzione normativa di questi mesi che ha visto nel ministro per la Pa Renato Brunetta uno dei registi più attivi.
Non per questo, però, il lavoro di messa a punto sarà in discesa. Anche perché, una volta archiviati gli obiettivi necessari per assicurarsi la seconda rata, il governo dovrà mettere a terra anche il blocco di misure previsti nel secondo semestre di quest’anno. E, su alcuni tasselli, il contributo del Parlamento sarà cruciale.
Basti citare la legge annuale sulla concorrenza 2021 che dovrà arrivare alle Camere nei prossimi mesi per garantire, come da cronoprogramma dettato dal Recovery, la sua entrata in vigore prima della fine del 2022. Ed entro il 31 dicembre andranno condotte in porto tutta una serie di riforme, da quella delle commissioni tributarie che il ministero della Giustizia dovrà portare a casa insieme al riassetto del quadro in materia di insolvenza, a quella del sistema di istruzione primaria e secondaria che rinvia invece al ministero dell’Istruzione tra i più impegnati nel 2022 con il dicastero della Transizione ecologica.
In ballo c’è un ulteriore assegno da 21,8 miliardi che l’Italia potrà incassare solo se saprà dimostrare di aver fatto tutti i compiti a casa.
Gianni Trovati
vicecaposervizio
Celestina Dominelli
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