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Pensioni, riscatto laurea e bonus figli: la riforma muove i primi passi

di Marco Rogari

Gap di genere anche sulle pensioni, alle donne il 30% in meno

Il cantiere per riformare la previdenza è stato appena avviato. Ma dal primo incontro tecnico con i sindacati è già arrivata la disponibilità del governo a valutare nelle prossime settimane un anticipo pensionistico di 4 mesi per ogni figlio e il ricorso all'integrazione al minimo per i millennials con carriere discontinue. L'ostacolo da superare resta quello delle limitate risorse disponibili

15 febbraio 2023
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2' di lettura

Serviranno tempo e risorse, ancora però tutte da individuare. Ma la “riforma delle pensioni che verrà” comincia ad avere i primi tratti somatici. Che, in attesa che si sviluppi il confronto tra governo e parti sociali, ancora alle prime battute, corrispondono a quelli di un bonus per anticipare di 4 mesi per ogni figlio il pensionamento delle lavoratrici madri e di un minimo previdenziale garantito per i giovani con carriere discontinue. Che se scattasse oggi sarebbe di 600 euro. Proprio questi, oltre all'alleggerimento della stretta su Opzione donna introdotta dall'ultima legge di bilancio, sono stati i temi toccati nel primo round tecnico del tavolo-previdenza. Di fronte al pressing dei sindacati dall'esecutivo sono arrivate caute aperture e la disponibilità a valutare l'impatto finanziario di interventi su questi versanti.

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Bonus-figli per le lavoratrici madri

La cosiddetta “copertura previdenziale” di donne e giovani è stata al centro del primo incontro tecnico tra governo e sindacati sul riassetto dell'attuale sistema pensionistico. Cgil, Cisl e Uil hanno rilanciato la proposta di garantire alle lavoratrici madri un anno di anticipo pensionistico per ogni figlio. Il governo non ha chiuso la porta ma si sarebbe dichiarato disponibile a valutare un possibile anticipo limitato a quattro mesi per ogni figlio, perché già in questo caso il costo non sarebbe trascurabile: non meno di 700 milioni l'anno.

Via il vincolo di 1,5 volte l'assegno sociale per la «vecchiaia contributiva»

Attualmente è possibile accedere alla cosiddetta pensione di vecchiaia “contributiva”, quella per la quale sono richiesti 67 anni e almeno 20 anni di versamenti, soltanto nel caso in cui l'importo supera di 1,5 volte quello dell'assegno sociale. Questo trattamento è stato introdotto sostanzialmente per i lavoratori interamente contributivi, ovvero per coloro che hanno avuto accesso al primo impiego dopo il 31 dicembre 1995. Ma il parametro minimo obbligatorio sotto forma di 1,5 volte sopra l'assegno sociale di fatto impedisce proprio ai lavoratori con carriere discontinue e, soprattutto, alle lavoratrici di utilizzare questa via d'uscita. Di qui l'idea di eliminarlo, o di ridurlo significativamente, su cui spingono i sindacati e che non vede pregiudizialmente contrario l'esecutivo.

L'integrazione al minimo per i giovani

Il futuro pensionistico dei giovani d'oggi è a dir poco incerto. La frammentarietà dei percorsi lavorativi non garantisce un'adeguata copertura previdenziale. I sindacati incontrando il governo hanno riproposto la nascita di una pensione di garanzia. Che potrebbe prendere forma anche sotto forma di integrazione al minimo: ovvero consentendo anche ai giovani di vedere assicurato, a prescindere dai contributi versati, un trattamento non inferiore a una certa soglia. Che oggi, dopo le novità introdotte dall'ultima legge di bilancio, è stata portata a circa 600 euro mensili. Questa ipotesi sarà valutata con attenzione nelle prossime settimane dall'esecutivo.

Riscatti della laurea agevolati

Un'altra possibile misura alla quale si guarda già è quella dell'irrobustimento delle agevolazioni previste per il riscatto della laurea. Non solo: tra le proposte sul tavolo c'è anche quella di prevedere il riscatto di anni effettivi di studio dopo la maggiore età, a prescindere dal conseguimento del titolo, o, in alternativa, altre forme mirate di contribuzione figurativa.


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