di Silvia Pieraccini
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L’industria italiana della concia riparte in quarta dopo il difficile 2020, anche se il primo semestre 2021 non basta a cancellare le ferite profonde inferte dalla pandemia: in un anno è stato “bruciato” quasi un miliardo di produzione (scesa del 23% a 3,5 miliardi di euro) e di export (sceso del 25% a 2,5 miliardi di euro). L’unico segmento che ha retto al Covid è quello delle pelli per arredamento, e si spiega con la rinnovata attenzione per la casa.
Ora però nei distretti conciari veneto, toscano, campano e lombardo sta tornando il sereno e il settore, spinto dalla domanda in arrivo ancora dall’arredo, è tornato a marciare: nel primo semestre la produzione è cresciuta del 20,7% in volume, il fatturato ha segnato +25,3%, l’export è salito del 28%. Incrementi a due cifre che lasciano però l’industria conciaria italiana, leader in Europa, ancora lontana dai livelli pre-Covid. Il gap da colmare è del 10,4% nei volumi, del 15,5% nel fatturato e del 16% nell’export.
«Il settore appare sulla buona strada per recuperare i livelli pre-Covid in tempi non eccessivamente lunghi – afferma Unic, l’Unione nazionale industria conciaria che ha elaborato le stime - anche se manca ancora una tendenza positiva forte e in grado di coinvolgere tutti i segmenti e i distretti produttivi». E manca anche un trend generalizzato nell’export: la Cina (compreso Hong Kong), da quasi 30 anni primo mercato di sbocco estero, segna +39% nel primo semestre 2021 ma resta lontano del 25% dai valori pre-Covid, e la stessa dinamica vale per i Paesi europei. Le uniche eccezioni sono il Vietnam (secondo mercato di sbocco estero delle pelli italiane), gli Stati Uniti e l’emergente Messico, Paesi che hanno già recuperato i livelli precedenti alla pandemia: sul primo semestre 2019 segnano rispettivamente +16%, +3% e +42%.
Una vera locomotiva non si vede nei singoli settori produttivi: a parte la crescita delle pelli per arredamento, il recupero è solo parziale per la pelletteria e, soprattutto, per l’automotive frenato dai fermi produttivi a causa della mancanza di semiconduttori. Anche la scarpa, seppur in rialzo sul 2020, resta il comparto più in difficoltà. Sul fronte pelli vanno meglio quelle bovine e ovine, calano le caprine.
In questo quadro, che mostra ancora macchie di nero e grigio, incombe ora l’aumento incontrollato delle materie prime, non solo pelli grezze ma anche prodotti chimici, cresciute in media del 25% da gennaio a giugno 2021. «Questa tendenza al rialzo, non accompagnandosi a una ripresa diffusa e convinta di domanda e consumo – afferma Unic - potrebbe inibire in maniera pesante il ritmo e l’intensità del recupero, con conseguenze anche molto gravi sul piano della sostenibilità finanziaria del settore».
L’occasione per capire la solidità della ripresa è a portata di mano, visto che mercoledì si è aperta la fiera di settore Lineapelle (fino a domani a FieraMilano Rho) che torna in presenza con 714 espositori in arrivo da 24 Paesi, che presentano i trend per l’autunno-inverno 2022-2023. La fiera riapre non solo le porte al business ma si arricchisce di eventi, seminari e progetti. Faro acceso sulla sostenibilità: «In questi mesi di pandemia le aziende di Lineapelle hanno continuato a lavorare su prodotti ricchi di creatività ma, soprattutto, sempre più sostenibili sul fronte ambientale», afferma Fulvia Baccchi, ceo di Lineapelle.
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