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Le 10 emergenze dei giovani / Il pasticcio del controesodo

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(© Zoonar/Serg Zastavki)

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15 gennaio 2018
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1' di lettura

Richiamare in Italia i talenti che lavorano all’estero, con la leva di agevolazioni fiscali sulle proprie entrate. Era la logica che animava il progetto del “controesodo”, tradotto in pratica nel 2010 con la Legge 238: un dispositivo inedito che prevedeva un taglio del reddito imponibile Irpef pari al 70% per gli uomini e all’80% per le donne. Peccato che l’intuizione sia degenerata, nell’arco di pochi anni, in un pasticcio normativo capace di creare più confusione che rimpatri tra i possibili beneficiari. Nell’ordine: la Legge 238 viene abrogata improvvisamente nel 2015 e sostituita da un altro testo, il Decreto legislativo 147/2015, che risulta però meno conveniente sotto diversi aspetti. Per esempio la riduzione sull’imponibile delle donne scende dall’80% al 30%, mancano i dettagli applicativi e il tempo per valutare il cambio di regime è pari a soli 30 giorni. A questo punto diventa ovvio restare nel regime della 238, anche se si esaurirà nel 2015, ma la beffa è dietro l’angolo: la legge 146 viene modificata e potenziata, diventando più favorevole del dispositivo precedente. Dopo vari appelli, i “controesodati” riescono a ottenere la possibilità di passare al nuovo regime, salvo incappare nell’ultima tegola. A marzo 2017 l’Agenzia delle entrate impone il rimborso della differenza fra il beneficio goduto ai sensi della Legge 238 del 2010 e quello previsto dal Decreto legislativo 147. Sullo sfondo di questo labirinto, le stime iniziali parlavano di 2mila rientri l’anno. Come spiega Francesco Rossi del gruppo Controesodo (un collettivo di professionisti rimpatriati), si parla di «un risultato modesto. Servirebbe più promozione alla legge, perché è poco conosciuta in Italia, figuriamoci all’estero».

Le domanda: Cosa si offre ai professionisti espatriati? Come si può incentivare il “controesodo” e, parallelamente, l’attrazione di talenti dall’estero?

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