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Serie A, è derby infinito: il Milan conserva 2 punti di vantaggio sull’Inter

di Dario Ceccarelli

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Vincono le prime quattro: ai rossoneri arriva il messaggio che non dovranno lasciare neanche un centimetro ai «cugini». Napoli, è tempo di rimpanti

2 maggio 2022
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4' di lettura

Chi si ferma è perduto. Anche per il primo maggio i candidati allo scudetto hanno dovuto lavorar sodo. Degli straordinari impegnativi che però hanno dato buoni risultati. Sia le milanesi che il Napoli, impegnato sabato con il Sassuolo (6-1), hanno infatti centrato l’obiettivo prefissato. Che era e resta uno solo: vincere, vincere e ancora vincere per restare in corsa sperando che le altre rivali facciano un passo falso. Insomma, i giochi sono ancora aperti. L’unico punto fermo, nonostante il riscatto del Napoli, è che Milano comanda. Ma chi ride e si diverte, in questo lungo derby, è ancora da scoprire. Lo vedremo solo alla fine, ai titoli di coda.

Quanto soffre il Milan

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Chi ha più sofferto, nell’ennesimo incrocio di destini, è comunque la capolista Milan che ha piegato la Fiorentina solo all’82’ (Leao) dopo il solito assedio cui ci ha abituato questo strano Diavolo col forcone spuntato. Che tanto punzecchia ma poco affonda. C’è voluto il consueto abbaglio di un numero uno - dopo Radu il portiere viola Terracciano - per spianare la strada ai rossoneri sempre imprecisi quando bisogna chiudere. Ma il regalo di Terracciano questa volta è davvero troppo invitante per essere rifiutato: e il buon Leao, decimo gol in stagione, davanti a quel pallone messo gentilmente sui piedi, non ha potuto esimersi. E Pioli, fino a quel momento sui chiodi, ha tirato un sospiro di sollievo.

«Ho vissuto il gol come una liberazione», ha spiegato il tecnico sorvolando sulla scarsa vena realizzativa dei rossoneri. «La nostra è una catena di montaggio perfetta che parte dalla società e arriva ai giocatori», dice Pioli che sarà meglio che ringrazi anche Maignan, autore di due parate straordinarie. Un altro ringraziamento speciale, già che c’è: Pioli può rivolgerlo ai tifosi rossoneri - oltre 70mila - che hanno sempre sostenuto il Milan anche quando ha fallito le occasioni più ghiotte (Giroud e lo stesso Leao). Un tifo compatto e amoroso che rimanda a ben altre stagioni della storia milanista.

L’Inter resta in scia

Meno ansiogena la domenica dell’Inter. Che vincendo 2-1 a Udine resta in scia alla rivale. E soprattutto invia al Milan un messaggio preciso: quello di non farsi illusioni. Che la squadra di Inzaghi è guarita. E che la sbandata col Bologna è già dimenticata E che lotterà fino all’ultimo metro. Per i nerazzurri le cose si sono subito messe bene grazie alle reti nel primo tempo di Peresic (ancora il migliore in campo) e Lautaro che di testa ha cacciato in rete un rigore che lo stesso attaccante aveva tirato sul palo. Rigore arrivato dopo una segnalazione del Var per un contatto tra Dezko e Pablo Marì. Solo nel finale, quando i friulani hanno accorciato al 72’ con Pussetto, l’Inter ha temuto qualche brutta sorpresa. Ma tutto si è concluso senza altre complicazioni. Forse anche perchè in porta questa volta c’era Handanovic. Morale: il Milan mantiene due punti di vantaggio, ma con solo tre partite da giocare. Diciamo che il traguardo s’avvicina, anche se il calendario - almeno sulla carta - è più favorevole all’Inter visto che incontrerà - a partire dall’Empoli venerdì 6 maggio - solo squadre che sono nella parte più bassa della classifica (Cagliari, Sampdoria).

Napoli, il 6-1 non assolve dai fischi

Per il Milan gli ostacoli sono più impegnativi a partire dalla trasferta di Verona (domenica 8 maggio) che ai rossoneri, come si sa, evoca ancora ricordi poco «simpatici». Dopo il Verona, l’Atalanta e il Sassuolo. Lo stesso Sassuolo che col Napoli ha imbarcato un cappottone (6-1) tennistico. Una goleada arrivata un po’ tardi che non ha risparmiato ai giocatori di Spalletti i fischi dei tifosi. Ormai sotto il Vesuvio volano stracci e lapilli con accuse e contraccuse al veleno.

Con la Juventus (2-1 sul Venezia) che non vede l’ora di strappare al Napoli il terzo posto in classifica. A proposito di Madama: va segnalata la doppietta di Bonucci coincisa proprio con il suo (35esimo) compleanno. Una coincidenza astrale che gli esperti reputano possa ripetersi non prima di un paio di secoli.

Nessuno come Carlo Ancelotti

Fa piacere che Ancelotti, dopo aver vinto tutti i cinque principali campionati d’Europa, sia salito sul trono degli allenatori. Fa piacere perchè è una persona perbene e perchè, pur essendo un professionista esemplare, non se la tira. Anzi: si diverte a tenere un profilo basso per ricordare che il calcio non è una scienza esatta come fanno credere alcuni suoi colleghi più mediatici o più «urlatori».

Il calcio di Ancelotti, pur essendo cresciuto alla scuola di Sacchi, è semplice. Prima vede la rosa che ha disposizione, poi la adatta senza dogmi e fissazioni. In serenità. È il suo marchio: intuito, buonsenso e simpatia. Uno di cui ti puoi fidare, insomma. Poi è un allenatore italiano: che parla cinque lingue, guida l’elicottero e ama la buona cucina. Ancelotti ha anche vissuto momento difficili, ma senza mai farne un dramma, ben sapendo che sarebbe arrivata un’altra occasione. Come gli è effettivamente arrivata dal Real Madrid. Società di prestigioso blasone, ma molto in affanno prima del suo arrivo.

«Non è tempo per parlare ma per festeggiare», ha detto Carlo V dopo aver battuto l’Espanyol. Parole perfino troppo sagge per il nostro calcio dove per essere vincenti bisogna spararle grosse. Chissà come rosica De Laurentiis che, dopo un anno e mezzo di inutili baruffe, lo aveva cacciato dal Napoli per Gattuso. Nulla di personale, ma Gattuso, anche se «ringhia», è di un’altra pasta.

Addio a Raiola

In ultimo, la morte di Mino Raiola, l’agente più famoso dei calciatori più famosi che ha lasciato sotto choc il mondo del pallone. Lo si può capire. Sia perchè Raiola era ancora giovane, sia perchè, con la sua innegabile capacità, ha difeso al meglio gli interessi dei suoi giocatori. Che giustamente lo amavano come un padre. Implacabile e spregiudicato, ha contribuito come pochi a prosciugare le già esauste casse delle società di calcio. Che ora, ipocritamente, lo rimpiangono.


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