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Professioni del futuro, poche donne con la preparazione adeguata

di Francesca Barbieri

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Arte digitale. Mostra multimediale di Gustav Klimt attualmente al Phoenix des Lumieres a Dortmund (Germania).(Ap)

Arte digitale. Mostra multimediale di Gustav Klimt attualmente al Phoenix des Lumieres a Dortmund (Germania).(Ap)

Specializzazione. Alta qualificazione, competenze tecniche e Stem sono le caratteristiche ricercate dalle aziende per la trasformazione digitale

7 marzo 2023
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4' di lettura

Professioni ad alta qualifica, tecniche, in ambito Stem. Flessibilità di orario e di luogo di lavoro. Sono questi i “tratti” che stanno sempre più prendendo forma nella carta d’identità delle lavoratrici italiane che, nonostante i notevoli progressi registrati nei decenni scorsi, continuano ad essere occupate in percentuale minore rispetto agli uomini (51,4% contro 69,5%), con stipendi più bassi e con una minor frequenza di incarichi dirigenziali.

L’Italia, secondo il Global gender gap index 2022, si colloca al 63° posto al mondo e al 14° posto in Europa per parità di genere, con un punteggio del Gender equality index dell’Eige (European institute for gender equality) inferiore alla media europea, che vede in testa alla classifica Islanda, Finlandia e Norvegia.

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Ma qualcosa si muove. Secondo lo studio predittivo condotto dalla società di consulenza EY con ManpowerGroup e Sànoma Italia all’interno dell’Osservatorio “Il Futuro delle Competenze” c’è una forte polarizzazione della domanda di lavoro, in cui si amplifica la dicotomia tra professioni previste in crescita (54% contro 37,5% nel 2021) e quelle che invece si stimano in decrescita (26% contro 47,75% nell’anno precedente).

In questo scenario, in un’ottica di medio periodo, le maggiori opportunità di lavoro si concentreranno nelle professioni ad alta qualifica, a discapito di quelle a media e bassa, rovesciando il trend che voleva, in Italia, un aumento più marcato dei lavori manuali.

Tra le professioni la cui domanda è prevista in crescita non ci sono solo profili con competenze puramente tecniche e tecnologiche, ma anche figure in grado di capire e raccontare la tecnologia e il suo utilizzo, finalizzate, ad esempio, alla trasmissione della conoscenza e all’insegnamento, alla produzione di contenuti e all’utilizzo della tecnologia ai fini di collaborazione e di design di esperienze.

In questo contesto, considerando i settori e profili in crescita lo studio di EY evidenzia una sottorappresentazione delle donne, in particolare per gli ambiti che abbracciano i temi della trasformazione digitale e le aree Stem (cloud computing, intelligenza artificiale, scienze, tecnologia, ingegneria e matematica): le donne rappresentano ancora soltanto il 16% del totale dei lavoratori.

«Le donne che intraprendono carriere universitarie o professionali in ambiti Stem sono comunque in crescita - osserva Carlo Chiattelli di EY - e hanno percorsi universitari più virtuosi di quegli degli uomini».

Secondo il consorzio interuniversitario AlmaLaurea il 60,2% delle donne conclude gli studi nei tempi giusti e nelle modalità corrette, rispetto al 55,7% degli uomini, con un voto di laurea più alto: media pari a 103,9/110 contro i 102,1 del sesso maschile. «Tuttavia - sottolinea Chiattelli - le donne ancora oggi hanno una probabilità di laurearsi in un percorso Stem del 69,3% inferiore agli uomini».

La formazione in queste materie diventa quindi un punto fondamentale per rafforzare il tasso di occupazione femminile, con ricadute positive per l’intera economia: secondo l’Eige infatti, colmando questo specifico gender gap, la Ue incrementerebbe il Pil pro capite fino al 3%.

Un altro contesto su cui porre attenzione è il settore pubblico. Questo perché le donne rappresentano già la maggioranza della forza lavoro della Pa: sono il 58,8% dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici italiani (ma se si guardano le posizioni apicali, solo il 33,8% è donna). Nella Pubblica amministrazione per anni c’è stata una scarsa dinamicità e la creazione di lavoro è rimasta praticamente ferma fino a poco tempo fa.

«Il fatto che il settore pubblico dopo la pandemia abbia sbloccato il turnover per accesso alla Pa, dopo un decennio di fermo - evidenzia Chiattelli -, rappresenta una grande opportunità per dare nuova vitalità all’occupazione femminile».

Il Covid poi ha accentuato i cambiamenti anche sul fronte dell’organizzazione del lavoro, con un impulso a digitalizzazione e innovazione tecnologica e un utilizzo più diffuso dello smart working. Secondo l’Inapp in Italia il 14,9% degli occupati svolge parte dell’attività da remoto, anche se la percentuale potrebbe essere quasi il 40%.

«Tra le tendenze che impattano il lavoro femminile - rileva Valentina Sangiorgi, chief hr officer di Randstad Italia - c’è la formulazione di un’organizzazione ibrida del lavoro. In generale, la flessibilità di orario e di luogo è sempre più apprezzata dalle persone, sia per una migliore gestione degli impegni familiari sia per dedicarsi ad attività che impattano sul benessere mentale e fisico». Questa tendenza fa parte di un cambiamento generale di mindset delle persone e dei manager che hanno imparato a gestire team anche da remoto. Oggi si tende a lavorare più per obiettivi e meno per singoli task, e questo permette alle persone di organizzare in autonomia le attività.

«Una conversazione proattiva sui temi del work-life balance è fondamentale - evidenzia Chiattelli -: non solo riguardo l’inserimento nel mondo del lavoro, ma soprattutto in ottica di retention».

Le donne in posizione di leadership hanno lasciato il proprio posto di lavoro, durante e post pandemia, con una frequenza 1,5 superiore rispetto ai colleghi uomini, preferendo realtà maggiormente orientate alla diversity, equity e inclusion.

«La sfida delle organizzazioni ora è monitorare costantemente engagement e gender gap - conclude Arianna Visentini, ceo della società di consulenza Variazioni - per poter intervenire dove serve ed evitare situazioni di disparità. Strumenti come la certificazione della parità di genere possono così diventare un valido alleato».

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