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Cozze nere di Taranto, l’aumento dei canoni nuovo ostacolo alla ripresa

di Domenico Palmiotti

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Coltivazione di cozze a Taranto

Coltivazione di cozze a Taranto

Un migliaio di operatori producono circa 50mila quintali annui, mentre nel passato si arrivava a 150mila quintali

8 marzo 2022
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4' di lettura

Passa da una crisi all'altra la mitilicoltura a Taranto, la produzione delle cozze nere che negli anni è stato un fiore all’occhiello della città. L’esodo massiccio di addetti dal settore, l’inquinamento delle aree di mare usate per l’allevamento, l’abusivismo, eppoi la concorrenza di Grecia e Spagna, l’assenza di interventi che aiutassero la qualità produttiva e lo sviluppo della filiera, hanno portato le cozze di Taranto al tracollo: circa 50mila quintali annui ed un migliaio di operatori, mentre nel passato si arrivava a 150mila quintali.

«Siamo ormai una produzione di nicchia», commentano i mitilicoltori. Adesso l’ultimo ostacolo che rischia di mettere a terra il settore è l’aumento dei canoni demaniali marittimi, visto che gli specchi di acqua sono dati ai mitilicoltori in concessione.
Gli aiuti, arrivati attraverso il decreto “Sostegni bis”, sono finiti col 2021. Da quest’anno, col decreto legislativo n. 500 del 14 dicembre 2021 gli oneri sono aumentati. Se prima c’era un canone agevolato e costava 400 euro, adesso per 15 ettari di mare se ne pagano 2.700 cui si aggiungono altri oneri da versare alla Regione Puglia che portano il costo complessivo a 3.000 euro. Oltre i 15 ettari, spiegano i rappresentanti di categoria, si pagano 0,0127 centesimi a metro quadrato.

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«Ma questi costi – dichiara a “Il Sole 24 Ore” Luciano Carriero di Confcommercio – non li possiamo sostenere. Chiediamo quindi alle istituzioni una rimodulazione ed un abbassamento dei canoni anche perché non utilizziamo tutto l’anno il Mar Piccolo di Taranto, dove abbiamo gli allevamenti, ma solo parzialmente».

Il “trasloco” forzato a causa dell'inquinamento

Tutto discende dall'ordinanza della Regione Puglia di settembre 2018, n. 532, in materia di “Misure sanitarie straordinarie di controllo del rischio diossina e PCB nelle produzioni di mitili di Taranto”. Poichè per decenni il Mar Piccolo e segnatamente il primo seno, è stato il bacino degli scarichi industriali tra lavorazioni siderurgiche, navalmeccaniche e cantieristiche, subito dopo il 28 febbraio di ogni anno i mitilicoltori devono prendere il seme delle cozze e trasferirlo in zone di mare non contaminate per fargli proseguire la crescita. Se invece restasse nel primo seno, ci sarebbe il rischio che le cozze, nelle fasi di maturazione, possano assorbire le sostanze inquinanti presenti in mare.

«Dovendo trasferirci nel secondo seno di Mar Piccolo oppure in Mar Grande, siamo costretti ad altre spese», evidenzia Carriero. E per ridurre i costi gli operatori propongono che a fronte di un’area di circa 20 mila mq nel primo seno di Mar Piccolo, automaticamente ci sia l’assegnazione di altre aree nel secondo, da 20mila mq ciascuna, in modo che la concessione di ciascuna cooperativa possa raggiungere una superficie complessiva di 80mila mq.

I sequestri della Guardia Costiera

Non manca chi il trasferimento in mare cerca di evitarlo oppure di evadere le regole, ma l’attenzione della Guardia Costiera è alta, tant’é che a fine 2021, con l’operazione “Oro di Taranto”, ha sequestrato impianti abusivi collocati su circa un milione di metri quadrati. E col primo step di questa stessa operazione, a metà ottobre scorso era scattato il sequestro di 45 tonnellate tra semi di cozze, cordame e galleggianti.
Inoltre, 50mila metri quadrati erano stati bonificati dall'invasione di vivai abusivi di mitili e stroncata sul nascere una produzione di 22 tonnellate che, con la maturazione del prodotto, sarebbe arrivata a 100 tonnellate.

Cozze importate e “bagnate” nel mare tarantino

Lo scorso anno il caldo e l’aumento della temperatura dell’acqua hanno sacrificato il 70 per cento del prodotto di Taranto. Che, sebbene sia dimensionalmente più piccolo e più gustoso, non ha trovato sbocco sul mercato perché schiacciato dalla concorrenza di quello spagnolo e greco.
«Accade purtroppo - spiega Carriero – che diversi operatori locali, per star dietro alla domanda che in estate è elevata, importino grandi quantitativi di cozze da Spagna e Grecia, le tengono alcuni giorni nei mari di Taranto, e poi le rivendono come locali. Nessuno pone un freno a queste operazioni. Ci sono regole che consentono di gestire al meglio l'import senza contraccolpi pesanti per tutti gli altri operatori, ma non sono applicate».

Mesi addietro, per dimostrare visivamente che si tratta di prodotti profondamente diversi, ci fu chi si immerse munito di telecamera e agitò nell'acqua i filari di cozze. Risultato: quelle tarantine non provocavano alcuna reazione, le caratteristiche dell'acqua restavano invariate, mentre dalle cozze importate, si liberavano sostanze che in pochissimo tempo rendevano torbida l'acqua.

La bonifica del Mar Piccolo che non va avanti

Per la bonifica del primo seno del Mar Piccolo, è stato individuato un intervento ad hoc affidato al commissario di Governo per la bonifica dell'area di Taranto, che attualmente è il prefetto della città, Demetrio Martino. Col precedente commissario Vera Corbelli, si pensò di intervenire con soluzioni diversificate (rimozione selettiva, capping e fitorigenerazione) ma adesso è tutto fermo per un problema di fondi. Tant’é che è stato lanciato un appello al ministro per il Sud, Mara Carfagna, responsabile del Contratto istituzionale di sviluppo di Taranto. Si punta a riprogrammare l'intervento rimodulando i fondi disponibili.

L’obiettivo del presidio Slow Food

Malgrado i problemi, la mitilicoltura di Taranto cerca comunque di darsi un'orizzonte ed una prospettiva. «Entro marzo – afferma Carriero – contiamo di chiudere sul disciplinare per la “Cozza di Taranto” presidio Slow Food. È un passo avanti sulla strada della qualità e del rilancio del prodotto. Stiamo già usando, inoltre, le retine biodegradabili per evitare l'inquinamento del mare e contrastare l'uso della plastica».
Progetto, quest'ultimo, messo in pista con le categorie dal sindaco uscente, Rinaldo Melucci, attraverso un accordo con Novamont, attivo nelle bioplastiche e titolare del brevetto Mater-Bi.

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