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Chi salverà il patrimonio afghano?

di Roberta Capozucca e Giuditta Giardini

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Lentezza e burocrazia internazionale impediscono ai corpi speciali di intervenire a salvaguardia del patrimonio a rischio nei paesi a elevata instabilità politica. Per Noor Agha Noori, direttore dell'Istituto Archeologico dell'Afghanistan, potrebbe essere l'unica soluzione

20 settembre 2021
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3' di lettura

Il 19 aprile 2021, il District Attorney’s Office di Manhattan ha restituito all'Afghanistan 33 antichità rubate per 1,8 milioni di dollari in circolazione sul mercato newyorkese e trattate dal mercante indiano Subhash Kapoor. Nel 2019, il British Museum di Londra ha restituito al Museo Nazionale dell'Afghanistan (MNA, Kabul) nove teste del Buddha e un busto rubati e rinvenute all'aeroporto di Heathrow. Queste si aggiungono alle 843 antichità già intercettate e restituite nel 2012 dalle autorità inglesi. Il Museo Nazionale dell'Afghanistan, riaperto dal 2004, conserva ad oggi una delle collezioni più importanti al mondo del periodo persiano, ma che negli anni successivi allo scoppio della guerra civili, tra il 1996 e il 2001, a causa dei saccheggi talebani ha visto disperdere circa il 70% del suo patrimonio.
A partire dal 2007, grazie ad operazioni internazionali, il Museo Nazionale dell'Afghanistan ha riacquisito gran parte della sua collezione originaria, nonostante sia stato quantificato che circa il 20% della sua raccolta sia ancora sul mercato nero. Oggi, il mondo osserva i principali musei afghani con il fiato sospeso, anche Alberto Garlandini, presidente di ICOM International parla di un “Afghanistan blindato con musei inaccessibili”. Con la proclamazione dell'Emirato Islamico dell'Afghanistan, nuove preoccupazioni si sollevano sul futuro del patrimonio culturale afgano e di chi ogni giorno cerca di metterlo in salvo, anche in mancanza del supporto della comunità internazionale. Su questo tema, il 14 settembre 2021, durante la conferenza internazionale su “The fight against the illicit trafficking of cultural property: for a strengthened global dialogue” organizzata dall'UNESCO, l'avvocata ed editor di Cultural Property News, Kate Fitz Gibbon, ha aspramente criticato il ruolo dell'UNESCO e della burocrazia internazionale collegata alle convenzioni culturali, che impedisce un intervento immediato in tutti i paesi che si trovano in situazioni di forte instabilità come l'Afghanistan. Di questo abbiamo parlato con il direttore dell'Istituto Archeologico dell'Afghanistan, Noor Agha Noori, che ArtEconomy24 ha intervistato in esclusiva.

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Nove teste del Buddha restituite dal Regno Unito al Museo Nazionale di Kabul nel 2019

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Quali politiche state attuando per proteggere il patrimonio?
Non esiste una procedura legale da seguire, i talebani hanno rifiutato la Costituzione del Paese che regola la gestione del patrimonio culturale. All'Istituto Archeologico procediamo con le nostre competenze perché dai talebani non arrivano indicazioni. Non credo ci sia speranza per noi, ma è impossibile prevedere quello che accadrà. Nonostante i talebani abbiano promesso all'Occidente di tutelare il patrimonio culturale, tra i professionisti c'è grande preoccupazione per il patrimonio pre-islamico anche se oggi abbiamo una documentazione puntuale dei siti archeologici ed inventari delle collezioni.

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La sua opinione sulla restituzione delle opere afghane?
Il recente cambiamento di regime offre nuove opportunità ai saccheggiatori, ma negli ultimi anni l'Afghanistan ha ratificato diverse convenzioni internazionali: la Convenzione UNESCO del 1970, Convenzione UNIDROIT del 1995 che hanno permesso la restituzione di più di 10.000 manufatti provenienti da tutto il mondo, ma crediamo che ci siano ancora migliaia di manufatti in giro per il mondo. La comunità internazionale deve vietare l’ingresso di qualsiasi manufatto che provenga dall’Afghanistan, specie nei paesi confinanti.

Favorevole ai safe havens?
Sono totalmente favorevole, fortunatamente l’Afghanistan ha ratificato la Convenzione dell'Aia del 1954 sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato. Gli Stati che la sottoscrivono possono costruire stanze sicure al di fuori delle aree di conflitto e del paese. Con il nostro team al Ministero dell’Informazione e della Cultura abbiamo iniziato a trasferire i manufatti più importanti in alcuni paesi occidentali, come gli Usa, ma la situazione è rapidamente degenerata e non siamo in grado di completare il lavoro. Potremmo ancora farcela se i nostri partner internazionali, come l’UNESCO, prendessero l'iniziativa, dovrebbero intavolare un dialogo vero e proprio con il governo talebano.

C'è di lavorare con l’attuale governo per prevenire il saccheggio dei siti archeologici?
Questa è una domanda per il futuro, perché in questo momento nessuno al governo comprende l’urgenza della tutela del patrimonio culturale dai saccheggi. Inoltre, anche se l’autorità centrale talebana pubblicasse una dichiarazione con cui si proteggono i siti archeologici, temo che i comandanti locali dei gruppi talebani - che sono per lo più analfabeti - non capirebbero l’importanza dei siti del patrimonio e finirebbero per proteggere saccheggiatori e contrabbandieri.

Qual è il futuro degli artisti afghani?
Il governo talebano non permetterà agli artisti contemporanei di continuare a lavorare. Nelle ultime settimane hanno già vietato la musica e chiuso le gallerie d’arte. Forse torneranno a controllare gli artisti contemporanei come negli anni ‘90.

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