di Riccardo Fini e Laura Toschi
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Negli ultimi anni, le più autorevoli accademie mondiali hanno promosso con fermezza gli studi interdisciplinari, considerando tale approccio fondamentale per supportare la formazione olistica dei futuri leader, nonché imprescindibile per l'avanzamento della conoscenza in ambito scientifico. Tuttavia i risultati di un recente studio* mostrano che gli accademici interdisciplinari sono fortemente penalizzati quando vengono valutati dai pari e che, maggiore è la loro autorevolezza scientifica, più severa è la penalizzazione.
È un risultato inaspettato, anche e soprattutto alla luce delle evidenze precedenti sul tema, evidenze che dimostrano che gli scienziati interdisciplinari vengono discriminati perché i valutatori reputano il loro lavoro incoerente rispetto ai temi trattati dalla disciplina, e che questa incoerenza è percepita come indice di minore autorevolezza scientifica.
Nel caso quindi in cui i valutatori si trovino a dover giudicare candidati interdisciplinari estremamente autorevoli, la loro valutazione dovrebbe essere influenzata dalla caratura dello scienziato, e solamente in minima parte dalla mancanza di focalizzazione dello stesso. Inoltre, la probabilità di ottenere una valutazione positiva dovrebbe aumentare con l'autorevolezza del profilo scientifico del candidato, raggiungendo valori massimi per scienziati di chiara fama, indipendentemente dall'interdisciplinarietà dei loro profili.
Nello studio i ricercatori osservano qualcosa di ben diverso. Basandosi su 55mila curriculum presentati all'Abilitazione scientifica nazionale, un processo di valutazione recentemente introdotto per l'abilitazione a professori universitari di prima e seconda fascia in Italia, le evidenze suggeriscono come gli scienziati interdisciplinari con elevate prestazioni scientifiche abbiano meno probabilità di ricevere l'accreditamento rispetto a quelli con profili più focalizzati. Inoltre, la penalizzazione applicata ai candidati interdisciplinari dall'alta produttività scientifica è circa il 50% più elevata rispetto a quelli con un basso rendimento.
Tale effetto è particolarmente evidente nelle discipline poco numerose e altamente coese, e quando i valutatori sono fortemente identificati con la disciplina che rappresentano.
Questi risultati possono sembrare controintuitivi: Perché si dovrebbe penalizzare chi mostra un'elevata performance scientifica? Se pensiamo tuttavia ad alcune dinamiche del mondo accademico, questo comportamento può apparire più che comprensibile. È infatti assodato che la nicchia di scienziati più autorevoli e produttivi tende ad avere una marcata influenza sul futuro delle discipline scientifiche e umanistiche, basti pensare ai processi di scelta delle aree di ricerca prioritarie, all'esplorazione di percorsi di rinnovamento e alla possibilità di mobilitare più risorse.
Tali posizioni, se occupate da scienziati interdisciplinari, sono quindi viste dai colleghi come una minaccia significativa allo status quo. Per contro, gli scienziati interdisciplinari con un curriculum nella media, sono percepiti come relativamente innocui e, in alcuni casi, come potenziali opportunità per arricchire il dominio scientifico introducendo nuove idee e metodi.
Tale comportamento non si verifica solo nel mondo accademico. In molti contesti in cui i nuovi candidati sono ammessi a entità chiuse, come in professioni e organizzazioni, i valutatori agiscono come “gatekeeper”, discriminando i candidati che non corrispondono all'archetipo ideale per preservare i confini e l'identità dell'entità che rappresentano. Esiste quindi un compromesso fondamentale tra conservatorismo e rinnovamento nei processi di valutazione, in modo particolare in quelli accademici. I membri d'élite della disciplina possono legittimamente preoccuparsi di mantenere la stabilità del loro ambito disciplinare.
Tuttavia, quando sono investiti di un ruolo di “gatekeeper”, l'innovazione e il rinnovamento della disciplina che rappresentano potrebbero inevitabilmente risentirne. Gli ideatori dei processi di accreditamento dovrebbero quindi prendere in considerazione misure correttive, ad esempio esplicitando che gli scienziati interdisciplinari dovrebbero beneficiare di una “discriminazione positiva”, dato il loro potenziale valore innovativo, o includendo nei comitati di valutazione accreditatori non direttamente coinvolti nello status quo.
Questo studio si aggiunge a una già ampia letteratura a favore di un approccio cauto all’interdisciplinarietà. Nonostante i ricercatori possano sentirsi più liberi di avventurarsi al di fuori delle proprie discipline, è opportuno non sottovalutare il costo sociale del superamento dei confini disciplinari. Una valutazione più precisa di questo costo e delle condizioni in cui si presenta può in parte aiutare i decisori universitari a progettare iniziative interdisciplinari più attraenti. Fino a quando ciò non sarà fatto, l'innovazione che vogliamo perseguire continuerà a essere minata.
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