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Bruxelles apre ai sussidi per produrre i microchip. In attesa della scelta di Intel

di Beda Romano

Intel investirà negli Usa 20 mld Usd per due fabbriche chip

La Commissione europea è pronta a dare il via libera ad aiuti pubblici a sostegno di un comparto strategico

18 novembre 2021
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3' di lettura

È una partita economica, industriale e politica quella che si sta giocando nel settore delicatissimo dei microprocessori. Nel secondo trimestre del 2022, la Commissione europea presenterà un progetto legislativo, lo European Chips Act, con l’obiettivo di rafforzare l’indipendenza dell’Europa in questo campo. La discussione tra le capitali e con Bruxelles è già animata. Proprio oggi, giovedì 18 novembre, la Commissione europea ha aperto la porta a mirati aiuti pubblici. «In considerazione della situazione eccezionale - ha scritto l’esecutivo comunitario - la Commissione può prevedere l’approvazione di sussidi per colmare potenziali carenze di finanziamento».

Comparto strategico

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L’importanza dei microprocessori è saltata agli occhi quando le catene produttive si sono sfilacciate sulla scia della pandemia virale. L’impatto ha riguardato interi settori, e non solo quello automobilistico. L’Europa ha scoperto quanto sia dipendente, almeno per alcuni aspetti, dai fornitori asiatici o americani. Taiwan, per esempio, rappresenta a livello mondiale il 17% della ricerca, il 60% della produzione e il 53% dell'assemblaggio, secondo il centro-studi bruxellese Bruegel.

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Tutti sono d’accordo quindi per rafforzare il tessuto industriale europeo in questo campo (con il loro Innovation and Competition Act gli Stati Uniti hanno appena deciso di investire 52 miliardi di dollari nel settore). Non che l’Unione europea manchi di protagonisti – in Belgio l’Imec, in Francia il Leti/Cea e in Germania la rete della Fraunhofer-Gesellschaft – sono istituzioni all’avanguardia, ma il loro ruolo è confinato soprattutto alla ricerca. Sul fronte della produzione, l’Unione europea è in ritardo.

Verso uno European Chips Act

Secondo il commissario al mercato unico Thierry Breton, lo European Chips Act deve quindi aiutare la ricerca, promuovere la produzione, e offrire un quadro di riferimento per firmare accordi internazionali: «È urgente dotare l’Europa di un settore produttivo all’altezza. Non ha senso scommettere su una divisione del lavoro in cui l’Europa si limiterebbe ai chips sopra i 20 nanometri, mentre gli Stati Uniti e l’Asia fornirebbero i chips sotto i 5 nanometri - il vero mercato del futuro».

La questione aperta riguarda l’uso di sussidi. In un discorso venerdì a Lovanio, la commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager ha aperto la porta a sussidi anche nella produzione – già oggi i progetti d’interesse europeo (Ipcei) consentono aiuti alla ricerca. «Su un totale di 5.000 prodotti, ve ne sono 137 per i quali l’Unione è dipendente da paesi terzi (...) Per 34 di questi non è prevedibile che il mercato risolva la questione da solo. È in questo campo che dobbiamo concentrare la nostra azione».

Sul tema la signora Vestager è tornata oggi, 18 novembre, facendo il punto sulla revisione della politica di concorrenza in corso da due anni. L’apertura, vincolata a specifiche salvaguardie, basterà a convincere i paesi membri? I paesi più attenti al libero mercato, come per esempio l’Olanda, sostengono che solo la ricerca debba essere eventualmente sussidiata, non la produzione. Temono una corsa ai sussidi che penalizzerebbe i paesi più piccoli a vantaggio di quelli più grandi.

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Merkel favorevole ai sussidi

Altri hanno una impronta più dirigista. Da Berlino, la cancelliera Angela Merkel ha detto che «una produzione competitiva di chips è impossibile senza sussidi statali». In una nota diplomatica trasmessa ai suoi partner, il governo federale propone di andare oltre le norme ordinarie e di usare l’articolo 107 dei Trattati, che permette aiuti pubblici se «destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività». Propone inoltre di creare un “Fondo sovrano strategico dedicato ai semiconduttori europei”.

La scelta di Intel

Nel frattempo, un grande produttore di microprocessori, l’americano Intel, dibatte dell’apertura di uno stabilimento in Europa. È da chiarire se la scelta debba essere una questione bilaterale tra la società e i paesi membri o non debba piuttosto essere gestita come un progetto comunitario. «La corsa ai sussidi non piace a nessuno. I governi sanno che sarebbe più saggio se il dossier fosse gestito come una questione europea, ma tendono a voler massimizzare il proprio vantaggio», riassume un diplomatico.

Si tratta di un investimento da 30 miliardi di euro. Una ipotesi è che alla Germania vada la produzione, alla Francia la ricerca, all’Italia il confezionamento. Un rapporto del consulente AT Kearney conferma che il tema è cruciale: «Nel 2020 la spesa europea in semiconduttori ammontava a 44 miliardi di euro, di cui solo il 19% era rappresentato da quelli più moderni. Entro il 2030, la spesa è destinata a crescere fino a 80 miliardi di euro all’anno, e la quota di chips moderni salirà al 43%».

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