di Luca Tremolada
Giochi di società inclusivi per definizione
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C'è stato un momento, ma è durato davvero poco, in cui tutto doveva diventare per forza videogioco. Siamo alla fine degli anni Ottanta: giochi di ruolo, giochi da tavolo, giochi di carte, ma anche cartoni animati, film e serie tv. Tutto doveva avere una trasposizione videoludica.
Spesso, nel cinema in particolare, i videogiochi erano davvero brutti perché realizzati con quello che rimaneva del budget per il grande schermo, a volte erano tentativi di monetizzare il brand e in rarissimi casi erano progetti che provavano a integrare fisico e digitale. Trent'anni dopo si continua a sperimentare ma si è capito che alcune forme di intrattenimento devono restare analogiche.
Monopoli e Risiko sono due esempi. Esistono versioni digitali ma il gioco è e resta fisico: un tavolo, le carte e i dadi. Tutto qui. L'altro esempio è rappresentato dal gioco di ruolo per antonomasia. Dungeons & Dragons, che tra due anni compie 50 anni, ha dimostrato di avere brillantemente superato la crisi di mezz'età: oltre 50 milioni di fan in tutto il mondo, personaggi dello spettacolo e vip tra gli appassionati e qui è il caso di fare i nomi di Jack Black, Joe Manganiello, Tiffany Hadish, Debroah Ann Woll, Xavier Woods, Patton Oswalt e altri ancora. E non ultimo la citazione (non piccola) che gli ha dedicato l'ultima stagione della serie Stranger Things su Netflix, riportando sul piccolo schermo quelle atmosfere e la magia di quel gioco.
D&D, che nella cultura americana è il gioco totem dei nerd appassionati di fantasy, è probabilmente la forma di gioco più ancestrale che esista. Si apre la scatola, ci si siede intorno a un tavolo, c'è un narratore, una storia e la fantasia di trasformarsi in altro. I giochi di narrazione cooperativa sono giochi di parola, sono ambienti protetti dove ci si guarda negli occhi e possiamo essere chi vogliamo. Si lanciano i dadi e si aprono porte su regni di maghi, locande di nani e sfide tra cavalieri.
Il videogioco anche in modalità multiplayer non è riuscito a ricreare questa magia. Tuttavia, D&D ha generato e ispirato numerose trasposizione videoludiche, tra cui la serie Baldur’s Gate in uscita nelle sale nel 2023.
Accade anche il contrario: videogiochi elettronici hanno trovato una declinazione da tavolo come nel caso di Dark Souls, Fallout Shelter o Resident Evil 2. Nulla di veramente eclatante, dal punto di vista commerciale. Anche perché il giocatore di giochi da tavolo si muove in un mondo parallelo dove il marketing videoludico non funziona. Anzi, se guardiamo i numeri, questo mercato è particolarmente vivace. Ogni anno escono infatti circa 800 nuovi titoli. Si parte dai giochi di ruolo alla D&D per passare ai giochi da tavolo, alle miniature e alle carte. I titoli più conosciuti sono Dixit, Ticket to Ride, Dobble, Bang! e Carcassonne, solo per citare i più conosciuti.
Parliamo quindi di giochi impegnativi, adulti nelle meccaniche e con una componente strategica preponderante. L'anno scorso a Lucca Comics è stato eletta “scatola” dell'anno My City, firmato da Reiner Knizia per Giochi Uniti. Si articola nell'arco di una compagnia composta da più episodi. Ogni partita ha conseguenze sulle successive. Il vincitore viene eletto dopo 24 partite vinte.
Ancora più profondo è Dune: Imperium ispirato alla celebre saga di fantascienza e alla recente trasposizione cinematografica di Denis Villeneuve. Ogni giocatore sceglie fra le quattro fazioni dei Fremen, delle Bene Gesserit, della Gilda Spaziale e dell'Imperatore. Le risorse sono quelle di Dune e cioè Spezia, Acqua e i Solari che sono la valuta dell'Imperium. Quanto al gioco vengono federate due tipologie di gioco, il deck-building e il piazzamento lavoratori. In questo caso le partite durano circa due ore.
Grande attenzione infine si è guadagnato Ark nova di Mathias Wigge. Non è per tutti, nel senso che richiede dedizione. Vestiamo i panni di un gestore di un parco zoologico. Rispetto ad altri titoli del genere gestionale Ark Nova è rigoroso e realistico. Non è molto conflittuale nel senso che non ci sono battaglie tra giocatori ma richiede un certo impegno.
Su questo fronte c’è anche un elemento generazionale. I più vecchi, chi oggi diciamo ha più di 40 anni si è abituato a giochi di ampio respiro, molto strategici che richiedono più riunioni. I nuovi titoli sembrano invece andare incontro alla difficoltà dei giovanissimi di gestire la frustrazione e la noia. Sono esperienze di gioco mediamente più veloci - in alcuni casi si chiude la partita in un’ora o poco più - non sono particolarmente complessi ma soprattutto sono inclusivi. Nel senso che a differenza di Monopoli e Risiko non c’è eliminazione. Si gioca tutti fino alla fine.
Luca Tremolada
Giornalista
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