di Davide Madeddu
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La stagione delle miniere metallifere nel pieno della produzione, con migliaia di minatori è finita. Nonostante i giacimenti siano ancora potenzialmente utilizzabili, i macchinari per scavare e coltivare le materie prime da cui si ricavano metalli sono spenti. Anche il numero dei minatori si è progressivamente assottigliato. Lo scenario, che contemplava piccoli microcosmi attorno a ogni sito minerario, è mutato. Nel settore, che complessivamente vale un centinaio di milioni, si contano in tutta Italia, poco più di tremila minatori distribuiti nei siti produttivi presenti in 14 regioni. E tra queste la Sardegna, forte di circa 500 addetti, è una di quelle che, con Piemonte, Toscana e Sicilia ha il più alto numero di occupati. Per le miniere metallifere, la maggiore parte delle quali con attività sotterranee, la chiusura è arrivata alla fine degli anni 90 dopo una serie di contraccolpi legati a una crisi nata nel decennio precedente. La fine di un ciclo che negli anni 80 ha visto il passaggio dal privato al pubblico. A poco è servita anche la legge del 1982 con cui lo Stato tentò un rilancio del settore mettendo in campo risorse pubbliche per sostenerne l’attività. Chiusa questa fase, per le miniere metallifere è iniziato un nuovo corso. Quello turistico. Buona parte dei siti minerari oggi viene visitato da migliaia di turisti. Succede nel Sulcis Iglesiente, a Masua, e a Buggerru dove le vecchie gallerie possono essere percorse dai turisti. Gioielli di ricerca e tecnologia, come i silos scavati nella falesia di Porto Flavia e l'autopala inventata a Montevecchio.
E succede anche nel nuorese. Qui però, l'esperienza turistica si unisce a quella della ricerca tecnologica e scientifica. A Sos Enattos, infatti, si guarda alla sperimentazione per lo studio delle onde gravitazionali.
Anche per l'ultima miniera di carbone d’Italia l'attività estrattiva è terminata. L'ultima protesta, con tanto di occupazione dei pozzi a 500 metri di profondità, ha allungato la vita al sito per un anno. Poi lo stop alla produzione e l’avvio di una programma di dismissione per evitare la procedura di infrazione. Da quel sito si guarda al futuro, con un’attenzione particolare verso la ricerca scientifica, anche perché il patrimonio infrastrutturale costruito nel corso degli anni ha un valore importante. Si avvia verso la strada di un ricordo che pian piano si allontana la stagione della miniera d’oro sarda. A coltivare il sito con un metodo di lavoro a cielo aperto era stata la società australiana Sardinia gold mining con il supporto della controllata regionale Progemisa. L’avventura, che 24 anni fa vide la fusione del primo lingotto d’oro, è terminata dopo una decina d’anni, l’ingresso di un gruppo canadese al posto di quello australiano e una produzione di 5 tonnellate d’oro, 6 mila d’argento e 20 mila di rame. Poi la chiusura e le proteste. Piano di risanamento e riqualificazione della montagna, accorciata di 40 metri, e delle dighe. Opere per 70 milioni da diluire nel corso degli anni in previsione di un nuovo viaggio. Tra ambiente e ricordi.
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