di Chiara Beghelli
Il colore della facciata della nuova Fendi Factory si armonizza con il paesaggio
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L’albero di cerro messo a dimora due anni fa per segnare l’avvio dei lavori ora è circondato da migliaia di altre piante: un’espansione che ricalca quella di Fendi nel distretto toscano della pelle, con l’inaugurazione della nuova manifattura di pelletteria a Capannuccia, nel comune di Bagno a Ripoli, che con i suoi 30mila mq su un terreno di otto ettari sostituisce, a poca distanza, quella precedente.
Un’apertura quasi in concomitanza con l’avvio della nuova edizione delle Journées Particulières (Jp), con cui Lvmh, gruppo al quale Fendi fa capo dal 2001, promuove il saper fare dei suoi artigiani, che torna dopo ben quattro anni di stop. «Abbiamo aspettato il momento giusto , perché non potevamo organizzare le Journées né online né distanziati – spiega Antoine Arnault, responsabile comunicazione e ambiente di Lvmh, intervenuto al taglio del nastro –. Il senso dell’iniziativa è permettere alle persone di vedere e toccare da vicino quello che i nostri artigiani sanno fare».
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È questo che la Fendi Factory – frutto di un investimento di 50 milioni e che oggi ospita 370 collaboratori, numero che raddoppierà a regime - proprio nel weekend delle Jp (14-16 ottobre) aprirà le porte a chi vorrà scoprire come nasce un prodotto Fendi. I luoghi di lavoro diventeranno nuovi punti di contatto con i clienti, come i negozi? «È un modo di tornare alle origini – spiega Serge Brunschwig, presidente e ceo di Fendi –: il primo negozio Fendi, quello di via del Plebiscito, a Roma, ospitava anche l’atelier e i clienti visitavano entrambi. Il lusso è nato così e dobbiamo tornare a offrire quel connubio».
Attraversando i reparti della manifattura, dove la luce naturale filtra dalle grandi finestre, oltre le quali ci sono colline e alberi, la sensazione è che sia un emblema di una dirompente evoluzione dei luoghi di lavoro: fabbriche costruite per ospitare soprattutto persone, e non più, o non solo, macchinari. Certo, la Factory vanta anche un innovativo centro di stoccaggio pellami automatizzato, ma il cuore restano le persone: «Abbiamo appena avviato una nuova masterclass dedicata alla pelletteria con l’Its di Scandicci, nell’ambito del programma “Adotta un Scuola” di Altagamma, che dimostra quanto per noi sia cruciale la formazione dei nuovi artigiani – continua Brunschwig –, e abbiamo già registrato un aumento dell’interesse degli studenti e delle loro famiglie per quello che facciamo qui. È necessario un cambio di passo: l’industria del lusso è fondamentale per l’Italia, ma il Paese deve investire di più nel suo futuro, come si fa in Germania e in Francia».
La Factory è un progetto di sostenibilità di ampio respiro, che coinvolge le persone e va ben oltre la piantumazione di migliaia di piante: la manifattura nasce dal recupero di un sito industriale abbandonato e gli arredi sono stati realizzati con gli scarti di produzione. «Negli ultimi anni abbiamo capito che dobbiamo perseguire con realismo i nostri obiettivi di sostenibilità – dice Arnault – e che dobbiamo essere trasparenti e onesti sui risultati. Nel programma Life 360 di Lvmh, per esempio, abbiamo raggiunto dei risultati in anticipo, mentre su altri siamo in ritardo». Oltre al clima, il mondo è oggi però preoccupato anche da una grave crisi geopolitica e dalle sue conseguenze, legate soprattutto ai costi dell’energia. Persino Lvmh, che ha chiuso il terzo trimestre 2022 con un aumento delle vendite del 19%, sta affrontando il problema: «Di recente abbiamo lanciato un piano di risparmio energetico – aggiunge Arnault – che prevede lo spegnimento anticipato delle luci dei negozi e cambi di temperatura entro un solo grado. Riusciamo a ridurre i consumi del 10-15%, non è poco».
Consapevolezza, però, non significa austerità: «Nonostante tutto dobbiamo continuare a concederci cose belle ed esperienze piacevoli – conclude –. Per questo chiediamo ai nostri designer di far sognare. Credo si debba vivere il più possibile oltre gli schermi, fra le persone. Penso che il metaverso, per quanto interessante per raccontare un brand, non potrà mai sostituire un negozio, almeno non per i nostri marchi».
Chiara Beghelli
Redattore
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