di Giorgio Pogliotti
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Poco più di un occupato su dieci lavora da remoto, anche se il bacino potenziale è ben più ampio: potrebbero svolgere il lavoro agile almeno 4 dipendenti su 10. Sulla limitata diffusione dello smart working incide il differente grado di fattibilità del lavoro da remoto nelle diverse professioni:la quota del lavoro da remoto varia dal 25% per le professioni intellettuali o esecutive al 2% di quelle non qualificate. La percentuale è anche legata alla differente capacità manageriale di adottare nuovi modelli organizzativi, più ridotta nelle piccole e medie imprese.
Sono dati di uno studio diffuso ad una giornata di studi organizzata dall’Inapp che evidenzia, più nello specifico, che In Italia appena il 14,9% degli occupati svolge parte l'attività alternando il lavoro in presenza e quello da remoto, ma potrebbe essere quasi il 40% considerando potenzialmente le prestazioni che si potrebbero effettuare a distanza. Nel 2021 solo il 13,3% delle imprese intervistate ha utilizzato tale modalità. Resta dunque una quota consistente - circa 2,5 milioni su 19 milioni di dipendenti, ma largamente minoritaria-, e soprattutto rallenta la tendenza alla diffusione del lavoro agile. Il riferimento è al balzo registrato in piena pandemia, nel 2020, quando nel giro di un anno si passò - secondo i dati dell’osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano - da 570mila smart worker del 2019 fino a 6,5 milioni, pari a circa un terzo dei lavoratori dipendenti.
«È un'occasione non pienamente sfruttata, almeno per il momento - commenta il presidente di Inapp, Sebastiano Fadda-. Svolgere una professione teoricamente lavorabile da distanza è una condizione spesso necessaria, ma non sufficiente, perché si abbia la possibilità di sperimentare lavoro da remoto. Dai dati non emerge quel cambio di paradigma lavorativo che la pandemia sembrava aver innescato, almeno nel nostro Paese: è come se durante la pandemia avessimo vissuto in ‘una grande bolla' e il ritorno alla normalità stesse vanificando le potenzialità del lavoro a distanza, a causa di una ridotta capacità di introdurre radicali innovazioni nell'organizzazione del lavoro che preveda una combinazione di fasi di lavoro da remoto con fasi di lavoro in presenza»
L’Inapp mette in luce che su questa ridotta diffusione del lavoro agile incide il differente grado di fattibilità del lavoro da remoto nelle diverse professioni, ma anche la differente capacità manageriale di adottare nuovi modelli di organizzazione del lavoro facendo uso delle nuove tecnologie digitali, in un Paese come l’Italia dove le Pmi sono assai diffuse. Guardando al settore privato extra-agricolo, per le imprese fino a 5 dipendenti l'84% dei lavoratori svolge mansioni che non possono essere eseguite a distanza, ma al crescere della dimensione aziendale questa quota si riduce: il 56,4% dei lavoratori svolge prestazioni non “remotizzabili” tra le imprese medie con 50-249 addetti e il 34,2% fra le realtà con oltre 250 addetti.
A svolgere un lavoro eseguibile in modalità da remoto sono soprattutto i laureati, i dipendenti delle imprese di grandi dimensioni, gli occupati nei servizi e i dipendenti pubblici. Incidenze leggermente superiori alla media si registrano tra le donne, tra i residenti nel Nord Ovest e nel Centro e tra le persone con diploma.
Nel 2019 solo il 14,6% degli occupati in Europa (Eu-27) lavorava abitualmente da casa, ma lo scenario era piuttosto eterogeneo: nei Paesi Bassi tale modalità raggiungeva il 37,2%. Con il dilagare del covid, alcuni Paesi che già nel 2019 mostravano valori superiori alla media UE hanno intrapreso un trend di crescita nei due anni successivi (Irlanda, Lussemburgo, Belgio, Finlandia, Danimarca, Francia, Estonia, Malta e Portogallo). L'Italia, che nel 2019 aveva percentuali ben al di sotto della media europea, con l'emergenza sanitaria ha raddoppiato questi valori, ma nel 2021 si è registrata una frenata nel ritmo di crescita del ricorso al lavoro agile.
Dallo studio emerge anche che la percezione di alcuni vantaggi e svantaggi del telelavoro fa emergere inoltre una differenza di genere con gli uomini che apprezzano in particolare la maggior autonomia, e le donne, che mostrano invece maggiore preoccupazione riguardo alle prospettive di carriera (50,9%), ai diritti e alle tutele sindacali (52,8%) e al maggiore controllo da parte del datore di lavoro (53,3%).
Giorgio Pogliotti
Redattore esperto
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