di Gianluigi Rossini
Natalina Orlandi, sorella di Emanuela Orlandi, in «Vatican girl»
2' di lettura
Nella ridda di docuserie che Netflix sta pubblicando negli ultimi tempi ci sono almeno due costanti: l’utilizzo abbastanza sfacciato di tecniche narrative tipiche della fiction, in particolare del thriller; la tensione tra locale e globale, ovvero il tentativo di raccontare storie ben radicate in una certa cultura ma presentandole in maniera che possano essere recepite ovunque.
Il caso Emanuela Orlandi è perfetto per questo tipo di operazione: è una storia profondamente italiana sia per l’ampissima dietrologia che solleva sia perché si svolge principalmente in Vaticano, lo Stato nello Stato in cui il papa è monarca assoluto, un luogo senza uguali al mondo. Per di più, è un caso di cui i media internazionali hanno parlato più volte, perché nel suo periodico riemergere ha coinvolto il terrorismo internazionale, il KGB, lo scandalo del Banco Ambrosiano, i rapporti tra Vaticano e Paesi comunisti, e via speculando. Vatican girl, che appunto ricostruisce quarant’anni di evoluzione delle indagini su Emanuela Orlandi, è transnazionale anche perché scritta dal britannico Mark Lewis e prodotta dall’italiana (ma trapiantata in UK) Chiara Messineo.
Non so come sarà accolta all’estero, ma per lo spettatore italiano stavolta il meccanismo non funziona: al di là del fatto che vengono spesso dettagliate cose per noi ovvie (il Vaticano, la Rai, Chi l’ha visto, etc.), il problema principale è che si seguono nel dettaglio tutte le piste che già sappiamo essere false, con ampi detour su Roberto Calvi, la banda della Magliana, Solidarność e Mehmet Ali Ağca. L’intero terzo episodio è dedicato a Marco Accetti, che alla fine viene bollato come un impostore, come d’altra parte ci aspettavamo. Posso immaginare che uno spettatore danese o coreano, completamente ignaro della vicenda, si lasci sballottare dall’incredibile repertorio storico e umano coinvolto, ma per chi ne ha da sempre almeno un’infarinatura le impalcature dello storytelling sono decisamente troppo in vista. Il confronto tra Vatican girl e Wanna, sulla televenditrice Wanna Marchi, mostra quanto sia difficile trovare l’equilibrio tra locale e globale di cui le piattaforme hanno bisogno: la seconda, forse difficile da apprezzare per un pubblico straniero, è per noi irresistibile; la prima, invece, non regge le quattro puntate e avrebbe funzionato meglio in 120 minuti.
Vatican girl
di Mark Lewis
Netflix
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