di Adriana Cerretelli
(© Bernal Revert)
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Non è verità rivelata ma solo un altro “ballon d’essai” la proposta presentata ieri dalla Commissione Ue per costruire, nel giro di due anni, un’unione economica e monetaria più stabile, convergente e resiliente alle crisi del futuro.
Un ballon d’essai come quello lanciato da Emmanuel Macron due mesi fa alla Sorbona. Ma con notevoli differenze.
La riforma del presidente francese contiene idee forti, guizzi e ambizioni troppo sfrenate: dopo aver scatenato un vivace dibattito, su di essa è calato il silenzio, forse in attesa di scoprire volti e intenzioni del nuovo Governo tedesco.
Quella della Commissione Juncker invece non riesce a volare, affondata nel piattume dei suoi eterni tecnicismi, né a nascondere, nonostante le piccate smentite, il timbro troppo tedesco che porta: forse per questo Jean-Claude Juncker, il suo presidente, ha scelto di non illustrarla di persona, interrompendo una consolidata tradizione. Il gesto però indebolisce politicamente la sua proposta.
Che l’unione economico monetaria sia nata tedesca non è una novità ed è logico che così fosse, visto il baratto tra riunificazione della Germania e rinuncia al marco che le ha dato i natali. Che però nell’età adulta nella quale, in teoria, si prepara a entrare e alla luce di eccessi ed errori di cui ha dato prova durante la grande crisi, più di tanto non riesca a discostarsi dal marchio di fabbrica trovando una formula più equilibrata, fa dubitare della sua effettiva capacità di compiere un vero salto di qualità verso un futuro sostenibile.
Che poi la Commissione, nata come organo di mediazione tra gli Stati, si arrocchi su quel modello, lavorando però nelle sue pieghe per tentare di recuperare un potere travolto dall’avanzata del nuovo metodo intergovernativo, dà la misura delle difficoltà che si stagliano sui negoziati.
Niente Unione a più velocità alla francese ma Europa unita e unitaria, anche sul fronte dell’euro a 19, che prima o poi diventerà la moneta di tutta l’Unione a 27, premette il piano Juncker. Riflettendo la preoccupazione di Berlino di evitare di rompere prima o poi l’integrità del mercato unico. Del resto, quando l’area euro fa da sola l’85% del Pil Ue, non avrebbe molto senso emarginare il 15% restante. E così, nella visione di Bruxelles, l’eurozona riformata avrà un Fondo monetario europeo (FME) costruito sul Fondo Salvastati (ESM) ma ricondotto sotto l’egida Ue, con il compito di intervenire sia a sostegno dei Paesi in difficoltà finanziarie sia degli istituti di credito come prestatore di ultima istanza nell'unione bancaria.
Avrà anche un Fondo di stabilizzazione, ricavato dal bilancio Ue, per far fronte a futuri shock asimmetrici, proteggere i livelli di investimenti nei paesi colpiti e incoraggiare competitività e riforme strutturali. Avrà infine anche un Fondo di convergenza per non marginalizzare i paesi non-euro ma aiutarli invece ad avvicinarsi gradualmente alla moneta unica. Nonostante i nuovi strumenti proposti il bilancio Ue (oggi pari all’1% del Pil comunitario) non potrà aumentare molto, anche se si riconosce che non è più sufficiente. Certo non fino al 2% proposto da Macron. «Raddoppiarlo o triplicarlo è fuori discussione. Per decidere ci vuole l’unanimità» ha tagliato corto ieri il tedesco Guenther Oettinger, commissario Ue al Bilancio, affermando che le risorse si troveranno nelle more degli stanziamenti attuali.
Dunque, niente fondi aggiuntivi fino al 2020, quando si varerà il nuovo bilancio quinquennale. E niente Unione dei trasferimenti: gli aiuti Ue a favore dei Paesi in crisi, è stato più volte ribadito ieri, non comporteranno trasferimenti permanenti e lo stesso vale per il capitolo bancario. Niente bilancio separato per l’eurozona, che attingerà sempre dal bilancio comunitario. Ovviamente niente parlamento separato da quello europeo attuale. Invece un ministro europeo dell’Economia e delle Finanze e vice-presidente della Commissione Ue con nessun compito di rilancio di economia e investimenti ma semplice coordinamento e attuazione delle riforme e indirizzo delle politiche economiche della zona euro.
Però integrazione del Fiscal Compact nella legislazione Ue, cioè impegni giuridicamente più stringenti per deficit strutturale e debito dalla metà del 2019 ma tenendo ferme le attuali iniezioni di flessibilità. Arretra la linea Macron, sfonda quella tedesca sotto i vessilli di Bruxelles. Difficilmente il nuovo Governo di Berlino cambierà linea: al massimo smusserà qualche angolo. Riuscirà la ripresa a rendere digeribile la pillola o la riforma diventerà piccola piccola per l'impossibilità di coagulare un accordo su ambizioni condivise? In breve, solita Europa?
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