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Tumori, chi è più ricco ha più chance di farcela: al Nord il triplo delle mammografie del Sud

di Barbara Gobbi

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L'Italia dei tumori gravata dai gap socio-economici al tempo dell'autonomia differenziata. Ogni anno 65mila decessi per cancro che dilagano tra i cittadini meno abbienti e meno istruiti: il 37% fuma, il 45% è sedentario e il 17% obeso. Il 40% dei casi evitabili abbattendo fumo e obesità

3 febbraio 2023
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9' di lettura

Ammalarsi di tumore, potersi curare e riuscire a guarire è (anche) un fatto di “status”: le condizioni socio-economiche di una persona pesano sull'esordio, sulla diagnosi e sulla gestione della malattia, sia nella fase acuta che nella sua evoluzione. Chi è più ricco, più formato e informato, ha insomma più chance di “farcela”. Questa regola, schiacciante nel divario tra Paesi ricchi e poveri del pianeta, vale per l'Europa dove un terzo delle morti oncologiche (il 32%) negli uomini è associato alle differenze socioeconomiche – bassi livelli di istruzione e di reddito - mentre per le donne il dato si attesta sul 16%. Ma vale anche, e sempre di più dopo il Covid che ha marcato le difficoltà di un Ssn già molto disuguale, per l'Italia, dove gli stili di vita scorretti – responsabili ogni anno di 65mila decessi per tumore - dilagano tra i cittadini meno abbienti e meno istruiti: il 37% fuma, il 45% è sedentario e il 17% obeso. E lo svantaggio socioeconomico incide sulla prevenzione primaria, con un gap ancora drammatico tra Nord e Sud del Paese che emerge plasticamente nell'offerta e nell'adesione agli screening che pure dovrebbero essere garantiti dal Ssn.

La giornata mondiale del 4 febbraio

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Per queste, e per molte altre “storture” nella gestione della malattia - incluso l'eccesso di emigrazione sanitaria per curarsi ma anche il carico di burocrazia che si porta via la metà del tempo dedicato dagli oncologi ai pazienti - il tema “Close the Care Gap” a cui è dedicata la Giornata mondiale contro il cancro organizzata dalla Union for International Cancer Control il 4 febbraio è quanto mai attuale anche in Italia. A chiedere un “grande piano di sensibilizzazione per recuperare le lacune e di supporto agli specialisti gravati dalle carte con l'assunzione di personale amministrativo” sono gli specialisti dell'Aiom, l'Associazione italiana di Oncologia medica che con la sua Fondazione vigila sullo stato di salute non solo dei 3,6 milioni di pazienti ma anche dell'assistenza ai tumori nel Paese.

Il segnale del ministro: 20 milioni nel decreto Milleproroghe

«Colmare il divario assistenziale è una delle sfide più urgenti e sicuramente una priorità fare in modo che tutti i cittadini, a prescindere dalla residenza, dal grado di istruzione e dal reddito abbiano diritto di usufruire di una presa in carico a 360 gradi dalla prevenzione all’assistenza domiciliare alle terapie alla riabilitazione fino al fine vita – promette il ministro della Salute Orazio Schillaci che da ricercatore e oncologo è particolarmente sensibile al tema tumori -. Con questa consapevolezza ci siamo impegnati da subito sul tema della prevenzione e della cura del cancro e il primo segnale è stato accelerare sul Piano oncologico nazionale 2023-2027 approvato pochi giorni fa anche dalla Conferenza Stato-Regioni, uno strumento strategico per la prevenzione e per migliorare l’assistenza e la cura alle persone anche arginando gli effetti collaterali della pandemia che ha rallentato i programmi di screening, le diagnosi e a volte anche le terapie. Le risorse, 20 milioni che arriveranno con l’approvazione del decreto Milleproroghe, rafforzeranno ulteriormente l’efficacia del Piano oncologico che affronta tutti gli aspetti delle malattie neoplastiche e sottolinea la centralità del malato e il superamento delle disuguaglianze. Oggi abbiamo gli strumenti per colmare il ‘care gap', a cominciare dall’implementazione su tutto il territorio nazionale delle reti oncologiche attraverso l’integrazione tra ospedale e servizi territoriali per una presa in carico dei pazienti che hanno bisogni complessi, alcuni dei quali possono ricevere risposte più appropriate anche sul territorio. Ecco perché è importante costruire una medicina del territorio forte che però richiede adeguato personale sanitario, sociosanitario e tecnico, oggi carente a causa di una programmazione spesso miope e di anni di blocco della spesa per il personale. La piena attuazione della riforma sull’assistenza territoriale passa per un investimento sul personale, così come l’obiettivo di portare al 10% la quota di pazienti over 65 seguiti in Adi. La prevenzione – ha detto ancora Schillaci - ha un ruolo fondamentale: il cancro è potenzialmente la patologia più facilmente prevenibile e oggi anche più curabile: la mozione approvata qualche giorno fa alla Camera conferma la validità dell’azione che il ministero ha già cominciato a mettere in campo per incentivare gli screening e stili di vita corretti. Intervenire sui principali fattori di rischio è la strategia più efficiente a lungo termine anche sotto il profilo dei costi sanitari e sociali: possiamo evitare il 50% delle morti per tumori e il 40% dei nuovi casi ma soprattutto assicurare uno stato di benessere che la Costituzione tutela ai cittadini italiani. Per questo stiamo predisponendo iniziative di prevenzione a partire dalle scuole elementari per l’adozione di stili di vita sani e stiamo definendo l’aggiornamento della normativa sul fumo. In questa sfida in coerenza con il principio della salute in tutte le politiche è necessario il contributo di tutti gli attori coinvolti”.

L'oncologia alla prova dell'autonomia differenziata

Siamo davanti a una vera e propria epidemia, con le nuove diagnosi in aumento a 390.700 nel 2022 (+14.100 in due anni). Superata la fase critica del Covid, ora c'è da affrontare con passo deciso l'emergenza cancro, che resta e si acuisce dove i territori non sono in grado di rispondere alle esigenze sociali e sanitarie delle persone. Una scommessa cruciale perché la gestione appropriata di uno dei principali problemi di salute della popolazione è la cartina di tornasole anche dell'equità e dell'accessibilità di un sistema sanitario. L'Italia dei tumori rischia di arrivare all'appuntamento con l'autonomia differenziata appena sdoganata dal Governo con un carico di disuguaglianze che può intaccare gravemente l'articolo 32 della Costituzione. Già in bilico malgrado l'assetto universalistico del nostro Ssn abbia fino a oggi fornito un argine. Spetterà ai Lep, i livelli qualitativi minimi che lo Stato dovrà fissare, fare più e meglio di quanto fatto fino a ora dai Livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea).

I gap in Europa

“In tutto il Pianeta, ogni anno, si stimano 18 milioni di nuovi casi di tumore e sono quasi 10 milioni i decessi – afferma il presidente Aiom Saverio Cinieri -. In uno studio pubblicato di recente (sulla rivista The Lancet Regional Health, ndr) è stato evidenziato che in Europa il rischio di morire di cancro aumenta progressivamente al diminuire del livello socioeconomico. Le neoplasie che più risentono del gradiente sociale sono quelle del polmone, stomaco e cervice uterina. Più si comprendono i processi biologici, i fattori di rischio e i determinanti della salute che favoriscono l'insorgere dei tumori, più efficaci diventano la prevenzione, la diagnosi e il trattamento. Vanno contrastati i principali fattori di rischio, tenendo conto di tutti i determinanti della salute, tra cui istruzione e status socioeconomico. Serve una visione a 360 gradi, che includa anche le condizioni di disagio dei cittadini, per non lasciare indietro nessuno”.

In Italia il 40% dei casi evitabili abbattendo fumo e obesità

“L'Italia, come altri Paesi mediterranei, sembra soffrire meno delle disuguaglianze sociali nei tumori – continua Cinieri -. Ma vi sono aree su cui servono interventi urgenti, a partire dalla sensibilizzazione dei cittadini sui corretti stili di vita. A fronte delle 390.700 nuove diagnosi di cancro stimate in Italia l'anno passato, il 40% dei casi può essere evitato agendo su fattori di rischio modificabili. Il fumo di tabacco è il principale, associato com'è all'insorgenza di circa un tumore su tre e a ben 17 tipi di neoplasia, oltre a quella del polmone. Le differenze sociali sul fumo, che vedono più esposte le persone con minori risorse economiche o basso livello di istruzione, nel nostro Paese si mantengono nel tempo ampie e significative – ricorda ancora Cinieri - a fronte di una riduzione che coinvolge di più gli individui meno svantaggiati”. Nel 2021 l'abitudine al tabacco fra i cittadini che dichiarano di affrontare molte difficoltà economiche ad arrivare a fine mese è stata del 37% e sovrapponibile al dato 2008, mentre fra chi non ha problemi finanziari la quota di fumatori è scesa dal 27% al 20% fra 2008 e 2021. Poi ci sono sovrappeso e obesità, sempre meno scongiurati anche da noi fino a ieri protetti dalla dieta mediterranea. “Secondo stime del ‘World Cancer Research Fund', il 20-25% dei casi di tumore è attribuibile a un bilancio energetico troppo ricco, legato al binomio eccesso ponderale e sedentarietà – sottolinea Francesco Perrone, presidente eletto Aiom -. In Italia, il 31% dei cittadini è sedentario e il 10% è obeso, ma queste percentuali raggiungono rispettivamente il 45% e il 17% fra quanti sono in difficoltà economiche o presentano un basso livello di istruzione. Va potenziata la promozione di stili di vita sani e attivi in tutte le fasce d'età, integrando cambiamento individuale e trasformazione sociale”.

Sugli screening una forbice inaccettabile tra Nord e Sud

“Nel 2021 – continua Perrone – la copertura dei programmi di screening è tornata ai livelli pre pandemici ma le differenze regionali restano abnormi: nel 2021, al Nord i valori di copertura della mammografia hanno raggiunto il 63% rispetto al 23% al Sud. Per lo screening del colon retto siamo al 45% del Nord rispetto al 10% del Meridione. Nello screening cervicale, al 41% delle regioni settentrionali fa da contraltare il 22% di quelle meridionali. Il divario Nord-Sud era già evidente prima della pandemia, ma molte Regioni del Sud non sono ancora riuscite a recuperare i ritardi accumulati. Serve un impegno straordinario per migliorare i livelli di adesione in queste aree anche mettendo in campo i presìdi sul territorio, cime le farmacie, per la promozione dello screening del colon retto”. Intanto gli oncologi si fanno parte attiva: l'Aiom lancerà nelle prossime settimane una grande campagna di sensibilizzazione rivolta alle Regioni del Sud.

Il carico di spesa sui pazienti

L'impatto delle disparità sui malati di cancro è evidenziato da un sondaggio sui costi a carico delle famiglie colpite dalla malattia condotto dalla Federazione delle associazioni di volontariato in Oncologia (Favo) con l'Istituto nazionale dei tumori di Milano e con l'Istituto nazionale dei tumori Fondazione Pascale di Napoli. “Il nostro lavoro – spiega il presidente Favo Francesco De Lorenzo – ha dimostrato che a causa delle lacune del servizio sanitario nazionale, i malati spendono in media 1.800 euro di tasca propria per curarsi, di cui 7-800 euro per la mobilità interregionale e 400 euro per effettuare indagini diagnostiche, cui ricorrono privatamente a causa delle lunghe liste di attesa che ritarderebbero l'accertamento della diagnosi”. Un'analisi socio-economica condotta due anni fa da Crea Sanità sui “viaggi della speranza” in oncologia conferma indirettamente il dato sul peso economico per i pazienti che vivono in aree svantaggiate: il saldo di mobilità per tumori oscilla da un valore positivo pari a 87,8 milioni della Lombardia a uno negativo di -52,1 milioni della Campania. E se il saldo è positivo in Lombardia, Lazio, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Umbria e Pa di Bolzano, tutto il Sud somma nel complesso 160 milioni di mobilità passiva per tumori.

Il diritto alla riabilitazione per i 2,5 milioni di pazienti post fase acuta

“Eliminare le disuguaglianze significa anche curare la vita ‘dopo' il tumore – afferma il segretario generale Favo Elisabella Iannelli - sulla base della rotta tracciata dal nuovo Piano oncologico nazionale appena licenziato dalla Conferenza Stato-Regioni. Certamente occorre potenziare i servizi di prevenzione e migliorare l'accesso alle terapie. Ma non solo. La stessa attenzione va posta alla qualità della vita di chi ha superato la fase acuta della malattia: oltre 2,5 milioni di persone nel nostro Paese. Il diritto alla cura dal cancro vuol dire anche poter contare su una riabilitazione a 360 gradi: nel momento in cui si è superata la fase acuta della malattia, ma non ci si può ancora considerare guariti, aggiunge Iannelli. Un tema che la Federazione persegue dalla sua nascita nel 2003, nell'ottica di un completamento del percorso delle cure oncologiche. «Le diseguaglianze di accesso ai servizi di riabilitazione di tipo biologico, psicologico e sociale impediscono ai malati di poter tornare pienamente alla vita attiva, al lavoro e a una posizione sociale dignitosa. La mancanza di interventi riabilitativi in oncologia causa un cortocircuito che aumenta il rischio di minori chance di cura e di guarigione dal cancro - conclude Iannelli -. Sostenere anche economicamente i malati, tutelare il lavoro e il reddito sono interventi di fondamentale importanza per contribuire al superamento del gap socio-economico che rende ancor più fragili e a rischio impoverimento i malati, anche nella fase post acuta e nella cronicità. Per questo è necessario superare le diseguaglianze che influiscono sull’effettiva equità di accesso a cure di qualità e che possono fare la differenza tra la vita e la morte. Le associazioni dei pazienti chiedono che, in linea con le indicazioni della Commissione Europea, venga garantita la riabilitazione oncologica e che, pertanto, sia inserita nei Livelli essenziali di assistenza”.

La zavorra burocrazia: mezza visita se ne va in “scartoffie”

Un'altra forte criticità che rischia di compromettere la qualità delle cure e di allungare ulteriormente le liste di attesa riguarda gli adempimenti burocratici che assorbono almeno metà del tempo di ogni visita oncologica. “Una ricerca svolta in 35 ospedali su 44 specialisti per un totale di 1.467 pazienti visitati, ha mostrato che durante un appuntamento, per 14 minuti dedicati alla visita della persona, se ne spendono altri 14 per la compilazione di moduli, prenotazione di appuntamenti, visite, esami, letti e poltrone per ricoveri o day hospital, prescrizioni, invio di e-mail – spiega Rossana Berardi, membro del Direttivo Aiom -. Un dato che probabilmente è addirittura sottostimato, perché molti centri dedicano giorni fissi a queste attività. La scarsità dei clinici è diventata una vera emergenza, causata dalla pandemia, dal numero chiuso delle Facoltà di Medicina mantenuto per troppi anni, dall'alto numero di pensionamenti e dal blocco del turnover – continua –. Le Regioni potrebbero liberare i clinici dalle attività burocratiche: noi proponiamo un modello di affiancamento di nuovo personale agli oncologi. Figure amministrative e paramediche, biologi o data manager in grado di svolgere le attività burocratiche durante le visite, per accorciarne la durata e aumentarne il numero. Meno tempo dedicato a compilare moduli significa più ore a disposizione per le visite dei pazienti”. “Il numero chiuso a Medicina è stato la regola per anni e oggi ne paghiamo il prezzo – aggiunge Cinieri -. Ci vorrà tempo perché i nuovi iscritti possano iniziare a lavorare e a coprire il vuoto che si è creato. Mancano medici di famiglia, professionisti nei Pronto soccorso e nei reparti ospedalieri, specialisti negli studi. Chiediamo più attenzione per affrontare la pandemia di cancro, più spazi fisici e più professionisti in staff, comprese figure di aiuto come gli psiconcologi, data manager e case manager”.


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