di Chiara Di Cristofaro e Simona Rossitto
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Prevenzione del fenomeno, protezione e sostegno delle vittime, punizione dei colpevoli e assistenza e promozione. Sono i quattro assi su cui si basa il nuovo piano strategico antiviolenza per il 2021-23. Attesa per quasi un anno, la strategia nazionale sarà accompagnata da un apposito piano attuativo. Ma le criticità rimangono, i femminicidi non si fermano e, come denuncia Action Aid, nel 2020 solo il 2% dei finanziamenti destinati a centri antiviolenza e case rifugio è arrivato a destinazione. Per il giudice Fabio Roia, uno dei maggiori esperti nella tematica della violenza di genere, è il momento di creare un’Autorità centrale autonoma che gestisca le risorse. Secondo centri antiviolenza e associazioni ci sono molti elementi positivi ma, in generale, occorre un cambio di passo, puntando tra l’altro sulle misure di empowerment con più decisione.
Intanto, l’inserimento dei fondi del Piano nella legge di Bilancio a partire da quest’anno è un elemento importante, come sottolinea la presidente di D.i.Re. – Donne in rete contro la violenza, Antonella Veltri, ma lo stanziamento di 30 milioni annui non è ritenuto sufficiente, visto il lavoro svolto per le circa 50mila accolte dai 302 centri antiviolenza accreditati in Italia. Tra le criticità, Veltri sottolinea la mancanza del piano operativo «che deve tradurre concretamente le tante azioni elencate nel Piano nazionale antiviolenza, per ora sono meri enunciati».
Tra le novità del piano strategico c’è l’accento posto sulcontrasto alla violenza economica, una delle forme più subdole, che si realizza quando il partner vieta alla donna di lavorare e acquisire risorse, ostacola l’accesso alle risorse familiari oppure gestisce i suoi beni o soldi. Spesso questo tipo di dominio si accompagna alla violenza fisica. Su questo fronte la strategia prevede, al fine di rendere le donne più consapevoli e dare loro gli strumenti necessari, alfabetizzazione finanziaria, tirocini retribuiti, norme per favorire l’inserimento lavorativo. Le prospettive delineate in tema di empowerment non soddisfano però Pangea Onlus che, peraltro, ha uno sportello specifico sulla violenza economica. «Continuano a mancare – dice la vicepresidente Simona Lanzoni – politiche strutturali che permettano l’empowerment rispetto al problema di trovare un alloggio o un lavoro che rendano la donna in grado di costruire un’autonomia nel tempo». E sulla recente misura del reddito di libertà Lanzoni precisa che «è senz’altro utile ma non sufficiente. Non lo avremmo chiamato reddito ma contributo, essendo 400 euro una cifra simbolica».
Una delle criticità nella lotta alla violenza è storicamente rappresentata dai colli di bottiglia che si riscontrano nell’erogazione delle risorse da parte delle Regioni ai centri. Secondo l’analisi di Action Aid, i tempi di erogazione delle risorse stanziate nel 2020 per il funzionamento ordinario dei Centri antiviolenza e delle case rifugio sono tornati ad allungarsi: sono serviti, infatti, in media sette mesi per trasferire le risorse dal Dipartimento Pari opportunità alle Regioni, che, ad oggi, risultano aver erogato solo il 2% dei fondi, e in sole due Regioni, la Liguria e l’Umbria. «Quest’anno i dati del monitoraggio delineano uno scenario in larga parte desolante. Le continue uccisioni di donne per mano maschile che si registrano in Italia – aggiunge Katia Scannavini, vicesegretaria generale di ActionAid – dimostrano che serve un cambio di paradigma». Antonella Veltri ricorda, a titolo di esempio, «come la Lombardia continui a erogare i fondi ai centri antiviolenza e alle case rifugio solo a fronte della comunicazione del codice fiscale delle donne accolte, e solo per i servizi di supporto legale e psicologico, non a fronte di un percorso complessivo e integrale di supporto come chiede la Convenzione di Istanbul», violando così l’anonimato delle donne che si rivolgono ai centri. «Diversi centri antiviolenza della rete D.i.Re sono stati costretti a rinunciare ai fondi», denuncia Veltri.
Di necessità di voltare pagina parla anche il giudice Fabio Roia. «Il piano antiviolenza, l’attuazione di piani regionali sono strumenti superati. Occorre un’Autorità – dice il magistrato - centrale autonoma che gestisca risorse, tematiche e che studi il fenomeno. I centri antiviolenza poi non dovrebbero più essere sovvenzionati secondo singoli progetti ma alimentati in relazione al servizio e alle prestazioni concretamente rese». La creazione di un'autorità ad hoc, spiega il magistrato, «fa parte delle proposte emerse nell’ambito della Commissione Femminicidio. Dovrebbe essere una Autorità autonoma e indipendente dalla politica (tipo Autorità anticorruzione, Autorità di garanzia per gli scioperi) formata da esperti che siano però in stretto contatto con tutti i ministeri interessati».
Nell’ottica di dare una mano alle strutture dei centri antiviolenza, che lamentano spesso la mancanza di fondi, si inserisce l’iniziativa della ministra del Sud, Mara Carfagna: «La giornata del 25 novembre ci sfida a dare risposte a ogni donna che si sente minacciata, spaventata, a ogni donna che teme per sé e per i suoi figli: sono migliaia, lo Stato deve occuparsene prima che diventino vittime. Nell’ambito delle mie competenze di ministra del Sud, d’accordo con la ministra Bonetti, ho agito per migliorare al Sud l’offerta di servizi di sostegno alle donne in pericolo: nel bando appena pubblicato per l’assegnazione dei beni confiscati alla mafia ho inserito una forte premialità per i progetti che istituiscono centri anti-violenza e case rifugio. La cifra – conclude Carfagna - è rilevante, 300 milioni per l’adeguamento di 200 strutture: sono certa che ci saranno risposte anche numericamente significative».
Chiara Di Cristofaro
Redattrice esperta Radiocor
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