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Le sanzioni anti russe incrinano il fronte dei paradisi fiscali

di Giovanna Marcolongo

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(Yabresse - stock.adobe.com)

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1 aprile 2022
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3' di lettura

Secondo alcune stime, la ricchezza russa detenuta all’estero sarebbe pari a quella detenuta dall’intera nazione all’interno dei propri confini. Due Paesi: uno domiciliato tra Londra, la Svizzera, New York e Cipro; l’altro stretto tra Mosca e San Pietroburgo. La ricchezza concentrata nelle mani di pochi ultraricchi nel primo; i risparmi di un’intera popolazione nel secondo. I conti espressi in valuta estera, al riparo dal rischio di svalutazione per i primi, estratti conto con valori espressi in rubli per i secondi.

Come ci hanno svelato le inchieste dei Panama Papers e dei Pandora Papers, i nomi dei cleptocrati russi ricorrono spesso nelle liste di clienti di studi specializzati nella creazione di società offshore. Le matrioske ben si prestano a rappresentare il metodo con cui la ricchezza si disperde nei paradisi fiscali: una serie di società veicolo, l’una proprietaria dell’altra. Ogni “bambolina”, uno strato di segretezza, con l’unico obiettivo di rendere difficile l’identificazione del titolare dei soldi depositati nell’ultima.

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Nel tempo, oltre alle isole caraibiche, anche le grandi capitali internazionali sono divenute meta di fondi illeciti. Di qua e di là dall’Atlantico non sono mancati i programmi che offrono un permesso di residenza a fronte di investimenti cospicui. Dagli anni ’90, Londra è divenuta un magnete per i ricchi russi al punto di guadagnarsi gli pseudonimi di “Mosca sul Tamigi” e “Londongrad”. I capitali esteri, investiti inizialmente in immobili di lusso, hanno col tempo finanziato università, squadre di calcio e partiti politici.

Di fronte a flussi di denaro tanto ingenti, applicare princìpi di trasparenza per identificare la fonte dei fondi ha generato un conflitto di interessi. L’avvio di indagini avrebbe potuto arrestare l’ingresso di fondi e rallentare l’ascesa del valore degli immobili. Le regole, quando esistenti, sono state applicate a rilento.

Oggi, le sanzioni contro gli oligarchi russi mostrano che qualcosa sta cambiando. Per la prima volta Paesi caratterizzati da grande segretezza come il Principato di Monaco, le Isole Cayman e la Svizzera supportano le sanzioni. Commissione Ue, Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Francia, Germania e Italia hanno creato una transatlantic task force per tracciare i fondi illeciti e identificare quanti intendono eludere le sanzioni celando la propria identità.

Eppure la domanda rimane: la transatlantic task force sarà efficace nel vincere la lotta contro i fondi illeciti? Chi commette crimini finanziari sfrutta la scala globale del sistema finanziario. Per questo la lotta sarà efficace solo se, a sua volta, acquisirà scala planetaria. Il successo della task force dipenderà dal coinvolgimento del maggior numero possibile di Paesi e dalla condivisione di informazioni tra le rispettive unità di intelligence finanziaria.

Le sanzioni contro la Russia avranno effetto solo se si escluderà ogni possibilità di eluderle. Dall’inizio del mese, gli yacht e gli aerei dei magnati russi hanno intensificato le proprie rotte verso gli Emirati Arabi, dove raramente vengono poste domande sull’origine dei fondi e la segretezza è salvaguardata. Un esempio: chi volesse ricorrere ai registri dei beneficiari effettivi per identificare i titolari delle società presenti, dovrebbe confrontarne ben 39 diversi. A ciò si aggiunga che gli Emirati stessi hanno promesso alla Russia che applicheranno solo le sanzioni disposte dall’Onu. Un favore immenso, considerato il diritto di veto sulle stesse di Mosca.

La guerra in Ucraina sta portando a evoluzioni senza precedenti nella lotta ai fondi illeciti. Gli oligarchi russi, grazie alle società` offshore, si proteggono dalla svalutazione del rublo mentre la popolazione comune subisce le conseguenze delle sanzioni economiche. Tutto ciò non fa che allargare le disuguaglianze interne, senza dimenticare che proprio i paradisi fiscali sottraggono al fisco introiti che avrebbero potuto finanziare scuole e ospedali pubblici. Perché una maggior trasparenza nella circolazione dei capitali, prima ancora che a determinare gli equilibri geopolitici, serve a salvaguardare i valori della democrazia.

Gruppo CLEAN presso il Centro di Ricerca Baffi-Carefin, Università Bocconi

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