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Referendum, è flop storico: affluenza al 20,9%. Su due quesiti il no oltre il 40%

di Andrea Gagliardi

Referendum, Cassese: "Ecco cosa ci chiedono i cinque quesiti"

Il quesito sull’abolizione della legge Severino ha registrato il 54,1% di sì e il 45,9% di no. E quello sulla limitazione della custodia cautelare il 56,2% di sì e il 43,8% di no. Vittoria schiacciante (oltre il 70%) del sì negli altri tre referendum (separazione funzioni dei magistrati; valutazione dei magistrati da parte dei membri laici dei consigli giudiziari ed elezione componenti togati del Csm)

12 giugno 2022
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3' di lettura

Flop storico dei referendum sulla giustizia. L’affluenza (dato definitivo) è stata per i cinque quesiti del 20,9%, la più bassa nel dopoguerra. Perché i referendum fossero validi bisognava arrivare a una partecipazione oltre il 50% degli aventi diritto. Un obiettivo storicamente difficile da raggiungere, ma che in questa tornata è rimasto lontanissimo.

Vittoria platonica dei sì ai 5 referendum

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A scrutinio quasi terminato, i 5 referendum sulla giustizia hanno ad ogni modo registrato la vittoria platonica dei sì. Ma se quest’ultima è stata schiacciante per la separazione delle carriere dei magistrati (74,2% sì e 25,8% no), per la valutazione dei magistrati estesa ai membri laici dei consigli giudiziari (72,1% sì e 27,9% no) e per l’abolizione della raccolta di firme per l’elezione dei componenti togati del Csm (72,7% sì e 27,3% no), lo è stata meno per gli altri due referendum. Il quesito sull’abolizione della legge Severino ha registrato infatti il 54,1% di sì e il 45,9% di no. E quello sulla limitazione della custodia cautelare il 56,2% di sì e il 43,8% di no.

Referendum e amministrative: i politici al voto

15 foto

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durante le operazioni di voto. (Ansa / Igor Petyx)
La presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, durante le operazioni di voto. (Ansa / Ufficio stampa)
Verona, Flavio Tosi e Federico Sboarina (Ansa)
Giuseppe Conte durante il voto al seggio elettorale (Photo LaPresse)
Genova, il sindaco uscente e ricandidato per il centro destra Marco Bucci, al voto nel seggio elettorale (Ansa)
Roberto Lagalla, candidato sindaco a Palermo
Fabrizio Ferrandelli, candidato sindaco a Palermo
Il ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D'Incà. (Ansa / Ufficio stampa)
Carlo Calenda durante il voto al seggio elettorale. (Photo Mauro Scrobogna/LaPresse)
Emma Bonino durante il voto al seggio elettorale (Photo Mauro Scrobogna/LaPresse)
Silvio Berlusconi al seggio (Photo LaPresse)
Matteo Salvini al seggio (Photo Alessandro Bremec/LaPresse )
Giorgia Meloni durante il voto al seggio elettorale (Photo LaPresse)
Enrico Letta durante il voto al seggio elettorale (Photo Mauro Scrobogna/LaPresse)
Luigi Maria Vignali, direttore generale per gli italiani all'estero, a Fiumicino per l'arrivo delle schede elettorali della campagna referendaria con il voto degli italiani residenti all'estero. (Ansa/TELENEWS)

I cinque quesiti referendari

L’obiettivo di chi intendeva introdurre una serie di cambiamenti in materia di magistratura e di amministrazione della Giustizia non è stato dunque centrato. Un dato che, oltretutto, accomuna questo referendum alle consultazioni referendarie che si sono svolte in Italia nell’ultima decina d’anni. Ma in fondo, il flop sembrava annunciato da giorni. E temuto da tutti coloro che hanno spinto fino alla fine i 5 quesiti.

Abrogazione legge Severino

Il primo quesito (scheda rossa) riguardava l’abrogazione del decreto legislativo numero 235 del 2012, la cosiddetta Legge Severino, che prevede l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza dalle cariche elettive per rappresentanti di governo, consiglieri regionali, amministratori locali e sindaci in caso di condanna. Con una differenza: che per gli amministratori locali è sufficiente la condanna in primo grado per alcuni reati gravi, mentre per gli incarichi nazionali le norme valgono dopo la condanna definitiva. La vittoria del sì avrebbe comportato la decadenza della legge, e quindi l’abolizione dell’automatismo: sarebbero i giudici a decidere sui singoli casi, volta per volta, se applicare l’interdizione dai pubblici uffici.

Limitazione misure cautelari

Il secondo quesito (scheda arancione) proponeva la limitazione delle misure cautelari: si chiedeva di intervenire sull’articolo 274 del Codice di procedura penale eliminando la reiterazione del reato tra i motivi per cui è possibile per i giudici, anche per reati non gravi, disporre la custodia cautelare in carcere o ai domiciliari nel corso delle indagini. Se avesse vinto il sì la possibilità di applicare misure cautelari agli indagati rimarrebbe per i casi di pericolo di fuga e inquinamento delle prove mentre per il rischio di reiterazione dello stesso reato sarebbe valsa solo nel caso di reati di particolare gravità.

Separazione funzioni magistrati

Eliminare la possibilità per i magistrati, nel corso della propria carriera, di passare dalle funzioni di pubblico ministero a quelle di giudice e viceversa. È quanto proponeva il terzo quesito referendario (scheda gialla). Oggi questo passaggio è consentito per quattro volte, mentre la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm prevede una sola possibilità. Di fatto la prevalenza dei sì avrebbe determinato una separazione delle carriere, tra requirente e giudicante, e porterebbe i magistrati a dover scegliere dall’inizio una delle due senza potere più cambiare.

Valutazione magistrati

Il quarto quesito (scheda grigia) riguardava la possibilità che i ’laici’, avvocati e professori universitari, esprimano il proprio voto nei consigli giudiziari e nel Consiglio direttivo della Cassazione sulle valutazioni dei magistrati. Si proponeva l’abrogazione delle norme in materia di composizione dei consigli e di competenze dei componenti laici. Attualmente sulle valutazioni di professionalità dei magistrati si esprime il Csm, in base ai giudizi espressi dai Consigli nei quali però possono votare solo i magistrati. La questione è affrontata in parte anche dalla riforma Cartabia, che però prevede il voto degli avvocati solo se c’è una segnalazione su fatti specifici da parte del Consiglio dell’ordine.

Firme per elezione togati Csm

Infine il quinto quesito, scheda verde, proponeva l’abrogazione di alcune norme in materia di elezione dei togati al Consiglio superiore della magistratura. In particolare chiedeva di eliminare l’obbligo di raccogliere dalle 25 alle 50 firme per potere presentare la propria candidatura: nelle intenzioni dei proponenti un modo per evitare che dietro i candidati al Csm ci sia il sistema delle correnti. La riforma del governo interviene sul punto, creando un sistema elettorale misto, maggioritario con correttivo proporzionale, che non previste liste ma candidature individuali.


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