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La vera priorità del paese: ora basta guerre di fazioni

di Andrea Boitani

Lo chiamavano il ponte di Brooklyn: storia del viadotto Morandi, dalle polemiche al crollo

15 agosto 2018
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3' di lettura

La tragedia di Genova, del ponte Morandi che crolla il giorno prima di Ferragosto, che distrugge e fa decine di vittime con sé e sotto di sé è così recente che qualsiasi ragionamento finisce per essere inevitabilmente gravato dallo stupore, dal dolore, dalla rabbia. Perciò sarebbe bene evitare giudizi sommari e affrettate ricerche di un colpevole purchessia. Il dovere di fare più che scrupolosamente le manutenzioni spetta al concessionario dell’autostrada. Mentre la vigilanza sullo stato di degrado e sulle stesse opere di manutenzione spetta alla preposta direzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

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Le indagini - auspicabilmente non strattonate dalla polemica politica e dai giudizi precostituiti – ci diranno se sia stato fatto tutto nei modi e nei tempi giusti da parte dei vari attori. Anche se qualsiasi negligenza appare incredibile, data la delicatezza strutturale e la posizione strategica del ponte Morandi. Il caso è comunque completamente diverso da quello di Bologna (A14) della settimana scorsa ed è bene che i cittadini non vengano indotti a fare di ogni erba un fascio.

Vanno registrate le opinioni tecniche, secondo cui il ponte era obsoleto e sottoposto alla terribile usura di un traffico quasi quintuplicato in cinquant’anni di esercizio. Un traffico in cui si mischiava l’uso cittadino e quello di lunga distanza, anche da parte di mezzi pesanti per il trasporto merci. Negli ultimi anni, la direttrice ovest (verso la Francia e la Spagna) è cresciuta molto nell’ambito del traffico merci e ha preso in misura consistente la via costiera. Il ponte Morandi ha certo sofferto per la mancanza di alternative. La cosiddetta strada a mare, disponibile solo da un anno, è alternativa solo parziale e ora dovrà sopportare gran parte del traffico che non può più passare per il ponte crollato, con notevole impatto sulla congestione e l’aria di Genova.

La situazione non sarebbe così difficile (e forse si sarebbe potuto chiudere il ponte per ricostruirlo) se fosse operativa e percorribile la Gronda di Genova. I cui primi studi di fattibilità risalgono al 2002-2003, anche se la constatazione dell’insufficiente capacità stradale nel nodo di Genova è anche precedente. La prima progettazione è del 2007-2008. Il dibattito pubblico su 5 alternative di tracciato, attivato su richiesta del Comune di Genova, viene svolto nel 2009 e individua un nuovo itinerario e alcune ottimizzazioni di tracciato. A seguito di ciò viene fatta la progettazione definitiva approvata dal Ministero in via preventiva nel 2011, quando parte la valutazione di impatto ambientale e la conferenza dei servizi, che si concludono nel 2015. Il progetto definitivo con le variazioni e integrazioni richieste è consegnato al concessionario nel 2016 e approvato dal Ministero nel 2017.

I lavori dureranno prevedibilmente 5 anni, da quando saranno avviati. Dunque, se tutto va bene, la Gronda sarà percorribile oltre vent’anni dopo che l'esigenza infrastrutturale si era manifestata e, purtroppo, almeno 5 anni dopo il crollo e i morti del ponte Morandi.

Al di là dunque delle responsabilità morali e penali per la tragedia di ieri, bisogna riflettere sulle conseguenze economiche e umane dell’incredibile lentezza con cui procede l’adeguamento infrastrutturale del Paese, sballottato da più di tre lustri tra i disegni faraonici della Legge Obiettivo e le varie logiche No-qualcosa. E ora di nuovo fermo nello stallo di una tardiva “valutazione universale”, che difficilmente scioglierà i veti incrociati tra forze di governo e gli imbarazzati tributi alle più diverse sindromi Nimby. I morti di Genova e i nostri nipoti non perdoneranno facilmente l’inconcludenza di ieri e di oggi.

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