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Afghanistan, cosa hanno fatto gli italiani: 2.290 progetti tra scuole, sanità e sicurezza

di Marco Ludovico

Afghanistan, ammainata la bandiera Italiana a Herat

Nella serata di martedì 29 giugno rientrato l’ultimo gruppo di militari con un volo atterrato all’aeroporto di Pisa. Il ministro della Difesa Guerini: «Il nostro impegno continua»

30 giugno 2021
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3' di lettura

Gli ultimi militari italiani, una cinquantina, sono partiti da Herat e arrivati ieri all’aeroporto di Pisa. Il piano Retrograde to Zero della Difesa si è concluso: la data della Zero Presence in Afghanistan, il 28 giugno, è stata rispettata nonostante gli imprevisti, i 900 militari del contingente sono in Italia. «È terminato in totale sicurezza un imponente sforzo logistico e operativo condotto con puntualità e sicurezza dalle nostre Forze Armate. Non termina però l’impegno della comunità internazionale, Italia in primis, per l’Afghanistan, continuerà in altre forme» ha sottolineato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini. E ha aggiunto la sua «gratitudine per i 723 feriti e la profonda commozione le 53 vittime italiane» di una missione quasi ventennale, cominciata il 18 novembre 2001.

Il bilancio dell’impegno italiano

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La cooperazione civile e militare nel teatro afghano si è sviluppata dal 2005 fino a oggi. Al di là dei numeri, comunque consistenti, resta la traccia di un dialogo con le popolazioni locali dove gli italiani rispetto agli alleati sono unici e riconosciuti. Sono stati realizzati 2.290 progetti per un impegno di spesa globale di oltre 58 milioni di euro: se si tiene conto delle difficoltà affrontate su un territorio così rischioso il bilancio è considerevole. Gli investimenti hanno riguardato l’istruzione (27%), la salute (11%) e poi strade, infrastrutture idriche, forze di sicurezza, agricoltura e allevamento. Sono state costruite o ricostruite un centinaio di scuole, oltre 40 ospedali, più di 800 pozzi, oltre trenta edifici di sicurezza tra caserme. E con le operazioni di rientro concluse sono stati evacuati 228 afghani, collaboratori del nostro contingente. Dopo la quarantena saranno inseriti nel sistema di accoglienza e integrazione.

Il rientro: operazione difficile e rischiosa

Guerini ha sottolineato «lo sforzo significativo che il Coi-comando operativo di vertice interforze ha pianificato e condotto sulla base di un quadro situazionale corrente di un teatro operativo volatile e complesso». Da maggio, infatti, il comando guidato dal generale Luciano Portolano ha pianificato, programmato, verificato e messo a punto tutte le linee di azione essenziali per il ritorno dei nostri militari più il rientro di tutti i mezzi e i materiali. Sono stati necessari, per esempio, un centinaio di voli di Ilyushin Il-76 e dieci voli di Antonov per il trasporto dalle basi afghane. Organizzazione logistica, ma anche massima sicurezza: come sottolinea la Difesa, il Coi ha svolto una «costante analisi di tutti gli aspetti prettamente operativi legati alla difesa e protezione del contingente» italiano. Il livello di attacchi e attentati in questi mesi, del resto, è in aumento continuo.

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La pianificazione del rientro ha avuto uno stop imprevisto e spiazzante quando gli Emirati Arabi Uniti hanno dichiarato la loro indisponibilità a concedere la base aerea di Al Minhad, snodo fondamentale di tutta l’architettura organizzativa messa in piedi, per protesta contro il taglio delle esportazioni di armi ad Abu Dhabi deciso dal governo Conte. La notizia è giunta alle nostre autorità in coincidenza con l’ultimo volo di Guerini in Afghanistan l’8 giugno per ammainare la bandiera italiana della missione. A quel punto al Coi è scattato «l’adattamento del piano» come si dice in gergo militare. Le telefonate con le autorità internazionali diplomatiche e militari sono diventate continue, febbrili, insistenti. Ma in pochi giorni è arrivata la soluzione: con transiti autorizzati in Kuwait, Qatar e soprattutto l’utilizzo del porto di Karachi grazie ai buoni rapporti con la Difesa del Pakistan. Adesso rischia di scattare una nuova pianificazione di rientro se gli Emirati confermeranno la decisione di chiudere la nostra base militare, circa 200 soldati italiani. C’è già una data: il 2 luglio.

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