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Il successo del Pnrr dipenderà anche dalle scelte della Bce

di Marcello Messori

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(RafMaster - stock.adobe.com)

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9 febbraio 2022
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3' di lettura

Nella riunione di giovedì scorso, la Bce ha confermato il ridimensionamento dell’espansione monetaria deciso a metà dicembre: la fine, fra due mesi, degli acquisti netti di titoli governativi basati sul programma di emergenza (Pepp); la presumibile conclusione, entro giugno, del rifinanziamento bancario a tassi negativi (T-Ltro3); il modesto e temporaneo rafforzamento del programma di acquisto di titoli (App) avviato a marzo 2015. L’interpretazione unanime è che si sia alla vigilia di una svolta nella politica monetaria europea: a causa degli ulteriori aumenti del tasso medio di inflazione nell’euro-area (Ea), la Bce terminerà gli acquisti netti di titoli derivanti dall’App entro il prossimo autunno ed effettuerà almeno un rialzo nei tassi di interesse di policy entro la fine del 2022. Il rischio è che, fra pochi mesi, la vendita dei titoli pubblici emessi dai Paesi dell’Ea (soprattutto quelli più indebitati) non potrà più contare sulla rete di protezione garantita della Bce e dall’Eurosistema delle banche centrali mediante massicci acquisti di titoli pubblici nei mercati secondari. Tali acquisti si limiteranno al reinvestimento dei ricavi e dei rendimenti dei titoli in scadenza per un altro paio di anni.

Volendo speculare sulla scelta delle parole da parte della Presidente della Bce, si può sostenere che la graduale svolta della politica monetaria sia stata già annunciata: il rinvio ai dati, che saranno disponibili a marzo, ripropone quanto fatto a fine ottobre 2020 per indicare l’ulteriore espansione monetaria poi realizzata nel mese di dicembre. Oggi, le condizioni sono simmetriche, anche se di segno opposto. Soprattutto, vi sono ragioni di mercato che obbligano la Bce ad accelerare una restrizione monetaria: le scelte della Fed che, a fronte di dinamiche inflazionistiche assai più preoccupanti di quelle europee, a metà dicembre 2021 ha deciso una rapida chiusura dei programmi di emergenza per l’acquisto di titoli e preannunciato tre rialzi dei tassi di interesse nel corso del 2022; e le dichiarazioni del Presidente della Fed a fine gennaio hanno indicato che, nel corso dell’anno, i rialzi nei tassi potrebbero essere maggiori e l’ammontare della liquidità offerta ridotto. Ciò sta determinando un innalzamento nella struttura temporale dei tassi statunitensi di mercato che, anche se limitato al breve-medio periodo, presto contagerà i tassi europei. In tale quadro, la Bce deve restringere la propria politica per non trovarsi in ritardo rispetto alle dinamiche di mercato e non essere costretta a interventi più drastici.

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L’ineluttabilità di un’intonazione più restrittiva della politica monetaria europea non la rende meno preoccupante. Per realizzare i Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr) che danno accesso ai fondi di Next Generation Eu (o Recovery and resilience facility, Rrf), fra il 2022 e il 2026 ciascun Paese dell’Ue dovrà avviare una transizione “verde” e una trasformazione digitale che richiederanno ingenti investimenti pubblici e privati e un rafforzamento dei programmi di formazione delle risorse umane e di inclusione sociale. Queste spese potranno essere solo in parte coperte da trasferimenti e prestiti della Rrf. Per giunta, la riorganizzazione delle produzioni e delle istituzioni economiche nazionali dovrà continuare ben oltre il 2026. Gli obiettivi di abbattimento di CO2 si estendono fino al 2050 e i ritardi digitali europei rispetto a Stati Uniti e Cina impongono iniziative di lungo termine. L’indebolimento della rete di protezione per la sostenibilità dei debiti pubblici potrebbe impedire ai Paesi più squilibrati dell’Ea di affrontare le spese nazionali richieste dalla realizzazione dei propri Pnrr.

Le considerazioni fatte suggeriscono che una restrizione, anche moderata, della politica monetaria europea è destinata a compromettere quelle prospettive di sviluppo aperte dalla nuova combinazione fra politiche della Bce, politiche fiscali nazionali e nuova politica fiscale accentrata (Rrf). Si può però evitare un esito tanto negativo grazie a due condizioni. La prima è che la Bce si liberi dall’annunciata sequenza temporale dei suoi aggiustamenti, ribadita anche giovedì scorso: prima la fine dei programmi di acquisto di titoli pubblici, poi il rialzo dei tassi di interesse di policy. Se eliminasse i suoi tassi negativi di policy e posponesse la chiusura dei programmi di acquisto di titoli pubblici, la Bce otterrebbe vari risultati positivi. Essa eviterebbe in modo più efficace la “sorpresa” dell’innalzamento nella struttura dei tassi di interesse di mercato, senza necessariamente stimolare ulteriori aumenti di tali tassi; inoltre, non ostacolerebbe, nel breve termine, la realizzazione dei Pnrr. La conseguente maggiore probabilità di successo del Rrf aprirebbe spazi per la seconda condizione: un prolungamento della capacità fiscale centralizzata, temporaneamente offerta dal Rrf, così da innescare una graduale sostituzione delle eccessive spese pubbliche nazionali con una spesa europea in grado di produrre vantaggi per tutti gli Stati membri.

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