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Silicon Valley Bank, authority California nomina curatore fallimentare

di Vito Lops

Crolla in Borsa la banca delle start up americane: c’è un rischio contagio?

La banca californiana ha fretta di recuperare liquidità per rimborsare i clienti che stanno chiedendo i depositi indietro su indiscrezioni di crisi

10 marzo 2023
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3' di lettura

Dopo il fallimento di Silvergate Bank, istituto di credito californiano legato al mondo cripto, arriva un’altra cattiva notizia sempre dalla California e sempre appannaggio di un istituto di credito.

Si tratta della Silicon Valley Bank - specializzata in finanziamenti alle start-up - il cui titolo ha avviato le contrattazioni a Wall Street con un calo del 60%. Dopodiché il titolo è stato sospeso perché l’attività della banca è stata chiusa dal Dipartimento per la protezione e l’innovazione finanziaria della California, che ha nominato la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic) come curatore fallimentare.

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Per proteggere i depositanti assicurati, la Fdic ha creato la Deposit Insurance National Bank of Santa Clara (Dinb). Al momento della chiusura, la Fdic ha trasferito immediatamente alla Dinb tutti i depositi assicurati della Silicon Valley Bank.Al 31 dicembre 2022, Silicon Valley Bank aveva circa 209,0 miliardi di dollari di attività totali e circa 175,4 miliardi di dollari di depositi totali. Al momento della chiusura, l’ammontare dei depositi eccedenti i limiti assicurativi non era determinato. L’ammontare dei depositi non assicurati sarà determinato una volta che la Fdic avrà ottenuto ulteriori informazioni dalla banca e dai clienti.

Le forti vendite sono state innescate dalla notizia circa il tentativo dell’istituto di raccogliere rapidamente circa 2,25 miliardi di dollari dopo aver registrato perdite per 1,8 miliardi di dollari nella vendita di obbligazioni per avere la liquidità necessaria a rimborsare i depositanti. Quel che ha preoccupato gli investitori è stato il motivo sottostante: l’istituto infatti è stato costretto a liquidare in fretta un controvalore di asset in portafoglio pari a 21 miliardi di dollari per fronteggiare la crescente richiesta di liquidità da parte delle aziende clienti, prevalentemente start up della Silicon Valley, a loro volta colpite dai rialzi dei tassi della Fed e quindi a caccia di cash.

Si teme a questo punto un’ulteriore bank-run (la fuga dei clienti) dopo che molti investitori di venture capital avrebbero raccomandato di ritirare i loro fondi nella banca provocando un crollo delle azioni Svb e un effetto a catena in tutto il comparto finanziario e bancario.

Effetto stretta Fed

A quanto pare Silicon Valley Bank sarebbe stata penalizzata dalla svalutazione dei bond in portafoglio causata dal violento rialzo dei tassi avviato dallo scorso marzo dalla Federal Reserve e tutt’ora in corso. Gli investitori temono a questo punto un rischio contagio sul settore finanziario e questo ha innescato un sell-off sia sugli istituti di credito americani ma anche su quelli europei. I future sulle big bank Usa (JpMorgan, Bank of America, Citigroup, Wells Fargo, Morgan Stanley e Goldman Sachs) indicano cali fino al 6 per cento.

Bancari sotto pressione

Vendite anche sui bancari europei con l’indice Stoxx di settore in calo del 4,5% nella mattinata del 10 marzo. Quante alle banche italiane, anch’esse in calo e principali “responsabili” del -2,2% che sta accusando l’indice Ftse Mib, secondo gli analisti di Intermonte, al momento non ci sono preoccupazioni particolari in virtù di un rapporto loan-to-deposit (prestiti/depositi) del 78%, un liquidity cover ratio del 240% e un net stable funding ratio del 100%. Per questo motivo dovrebbero avere «un limitato impatto diretto».

«Ci potrebbe essere un po' di tensione sul lato liquidità, e il mercato potrebbe focalizzarsi sull'esposizione ai titoli di Stato italiani e in tal senso segnaliamo che le banche più esposte su questo fronte sono Bper, Banco Bpm e Credem», spiegano gli analisti di Intermonte. Inoltre, aggiungono gli stessi, i buffer Mda (Ammontare massimo distribuibile) sono elevati (500-600 punti base) e il rapporto tra crediti deteriorati lordi e impieghi è ben al di sotto del 5% «fattori che rendono il settore più resiliente a eventuali shock esogeni».


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