di Riccardo Sorrentino
Macron ora pensa a una premier donna per la Francia
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Si cambia. Da subito. Il presidente rieletto Emmanuel Macron deve riconquistare l'Assemblée nationale al voto del 12 e 19 giugno. Oggi la maggioranza presidenziale che raccoglie diversi partiti oltre al macroniano La République en marche (i democratici cristiani di François Bayrou, ex del partito socialista, dei Républicains, degli ecologisti di sinistra e il movimento di centro-destra Horizons del popolare Edouard Philippe) conta 348 seggi su 577. Ripetere i successi del 2017 non sarà facile, anche se un primo sondaggi gli attribuisce comunque la maggioranza (328-368 seggi), con una forte crescita del Rassemblement national, che oggi ha 8 deputati, fino a 75-105 seggi.
Macron deve mettersi al lavoro subito. Il primo ministro Jean Castex darà prestissimo le dimissioni, come prevede la prassi, ma sa bene che non sarà riconfermato. Occorre un volto nuovo – e lo stesso Castex ne è consapevole – che spinga ancor di più la “transizione ecologica” della Francia. Due i nomi che circolano con maggior insistenza, al di là dell'ipotesi molto astratta di Christine Lagarde, impegnata alla Bce e soprattutto troppo elitaria: l'attuale ministro dell'Agricoltura, Julien Denormandie, e la ministra del Lavoro, Elisabeth Borne. Deciderà Macron, considerato “mastro orologiaio”, per cui non sono impossibili sorprese.
Denormandie – più discreto, quasi timido – è considerato un “clone” di Macron, al punto da essere considerato un possibile successore nel 2027 (ma Edouard Philippe, molto popolare, potrebbe avere più chance di essere eletto, nello stesso campo). Ingegnere agronomo, vicino al Partito socialista, si è sempre occupato della ruralité francese, delle campagne, nelle quali il consenso di Macron è meno forte. Avrebbe dovuto dirigere la campagna presidenziale, ma la guerra in Ucraina ha richiesto che mantenesse il suo incarico.
È stato protagonista di una polemica con il sindaco ecologista di Lione, Grégory Doucet, che ha introdotto un menù senza carne nelle mense scolastiche della città. Per Denormandie si trattava di «una vergogna dal punto di vista sociale» perché privava i bambini più poveri dell'accesso alla carne. In realtà la misura era già stata presa dal predecessore di Doucet, Gérard Collomb, ex ministro degli Interni di Macron e, pur colorita da motivazioni ideologiche, aveva lo scopo di servire più rapidamente i bambini durante la pandemia.
Élisabeth Borne sarebbe la seconda donna in Francia a ricoprire l'incarico di primo ministro dopo Édith Cresson, voluta da François Mitterrand nel '91. Da sempre socialista, prima di passare nelle file dei macroniani al seguito tra gli altri del ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian, è stata ministra dei Trasporti durante la crisi dei Gilets Jaunes e le proteste per la riforma delle ferrovie, la Sncf, poi ministra della Transizione ecologica e solidale, e oggi ministra del Lavoro e le vengono attribuite, tra le sue competenze, anche la riforma delle pensioni. Ha completato la riforma delle ferrovie e quella dei sussidi di disoccupazione, punti centrali del progetto di Macron.
Non mancano altri nomi: Bruno Le Maire, ministro dell'Economia durante tutto il quinquennato e personaggio centrale del macronismo, o Gérald Darmanin, ministro degli Interni, o Richard Ferrand, presidente dell'Assemblée e uomo di sinistra, o ancora Olivier Dussopt, ministro delegato per i conti pubblici. Se la scelta dovrà cadere su una donna, altri nomi sono Catherine Vautrin, neogollista, presidente dell'area metropolitica di Grand Reims, oppure Nathalie Kosciusko-Morizet, ex ministra ed ex segretaria di Stato per l'Ecologia. È comunque l'intera compagine del governo, a parte forse qualche posto chiave, che sarà completamente cambiata. Anche l'opposizione tenta di riorganizzarsi.
La destra appare in difficoltà. Eric Zemmour invoca un'”unione delle destre” ma la sua accusa agli amici-rivali del Rassemblement national («è l'ottava volta che la sconfitta porta il nome di un Le Pen») pesa sulle trattative. Per Marion Maréchal, vicina a Zemmour e nipote di Marine, si tratta di pretesti per non trattare: la tentazione di andar soli, per un Rn da sempre feudo della famiglia, è molto forte.
Complesse anche le trattative a sinistra. Il nodo è la Ue: Mélenchon punta, come Marine Le Pen, a scegliere a quali regole adeguarsi e questo è un ostacolo alla partecipazione dei Verts, che invece puntano a un'Europa federalista nella quale quindi siano ammesse regole federali. Dietro Mélenchon «non funzionerà», ha detto Yannick Jadot, ex candidato presidenziale per gli ecologisti, pur favorevole a un'alleanza. Le discussioni con i socialisti proseguono intanto a porte chiuse.
Soli e sconfitti alle presidenziali, i Républicains cercano una nuova strada, ma molti tra loro – presidenti di regione, sindaci di città importanti, e persino l'ex presidente Nicolas Sarkozy – cercano di passare con il presidente, di rispondere al richiamo alla “raccolta” contro le forze estreme. François-Xavier Bellamy, deputato europei per i neogollisti, ha allora richiamato tutti a scegliere dove stare: «Il dovere della destra è di incarnare un'alternativa». Il consiglio strategico ha approvato all'unanimità, con due astensioni, una mozione che esclude ogni apparentamento con Macron. Trovare una strada non macroniana e non lepenista non è facile: non lo è stato negli anni scorsi, non lo è adesso.
Riccardo Sorrentino
Redattore
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