di Alessio Romeo
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Per la programmazione 2021-27 l’Italia riceverà dall’Unione europea 518 milioni, circa il 10% del budget totale del Feampa, il Fondo europeo per l’attività marittima, la pesca e, da ora con un ruolo rafforzato, anche l’acquacoltura. Il fondo può essere considerato il “fratello minore” di quello per l’agricoltura che finanzia la Pac, il Feaga, ma solo per l’importo (l’agricoltura riceve circa 10 volte tanto), perché anche quella che regola la pesca è una politica europea a tutti gli effetti. Orientata in maniera sempre più spinta verso la sostenibilità. Che tradotto per il settore significa riduzione delle catture e delle attività in mare. Vincoli, quote e il famigerato “fermo pesca” che impone in determinati periodi dell’anno lo stop delle attività tenendo i pescherecci fermi in porto.
A Bruxelles la politica europea per la pesca ruba la scena del Consiglio dei ministri Ue alla fine di ogni anno quando si tengono le famose maratone notturne per la fissazione delle quote pesca, i contingenti assegnati a ciascun paese per le catture, a seconda delle specie (per l’Italia tonno rosso e pesce spada). Per il Mediterraneo la faccenda è diventata, soprattutto negli ultimi anni, sempre più complicata. Nell’ultimo, durissimo negoziato per la fissazione delle quote pesca 2022 l’Italia è riuscita limitare i danni con “soli” 4 giorni di fermo in più rispetto al 2021. Un buon risultato costato però la rottura dell’alleanza sul tema con i Paesi mediterranei. La Spagna, infatti, ha votato contro il compromesso raggiunto sulla riduzione dell’attività delle flotte a strascico di Italia, Francia e Spagna che operano nella parte occidentale del Mediterraneo. Una riduzione contestata comunque, anche in Italia, dalle associazioni di categoria (Federpesca, Alleanza delle cooperative e Coldiretti Impresapesca).
L’aspetto virtuoso della politica di settore, che dal maxi-allargamento dell’Unione del 2004 ai dieci Paesi dell’Europa Centrale e Orientale vanta un commissario ad hoc (Pesca e Ambiente), creato con la sostanziale motivazione di rispettare la regola che prevede un titolare per paese membro nell’esecutivo europeo, è quello legato all’innovazione tecnologica. Un obiettivo perseguito attraverso i nuovi obblighi che impongono agli Stati membri di rafforzare il ruolo della scienza, intensificando la raccolta di dati e la condivisione di informazioni sugli stock, le flotte e l’impatto delle attività di pesca. Ma anche, negli auspici delle organizzazioni di categoria, attraverso la riconversione delle imbarcazioni e il rinnovamento dei motori in termini di sicurezza e riduzione delle emissioni.
Una richiesta avanzata dall’Alleanza delle cooperative della pesca in vista della redazione del piano strategico per l’attuazione della nuova politica Ue della pesca in Italia (che dovrà stabilire il riparto dei fondi tra Stato e Regioni, finora al 30-70%) riguarda lo sviluppo di nuovi sistemi assicurativi, oltre al sostegno ai pescatori per la difesa dalle avversità, insito nei fondi di mutualizzazione, con un contributo Ue alla stipula di polizze (come avviene in ambito agricolo) per il risarcimento delle perdite dovute all’impossibilità di uscire in mare.
L’emergenza più attuale è legata invece al raddoppio del prezzo del gasolio causato dalla crisi ucraina, che rappresenta oltre la metà dei costi delle 12mila imprese ittiche (con 28mila lavoratori), secondo una stima di Coldiretti Impresapesca. La crisi energetica si aggiunge così all’ulteriore riduzione delle uscite in mare a poco più di 120 giorni l’anno in zone strategiche come l’Adriatico, il Tirreno ed il Canale di Sicilia.
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