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Un doppio turno (ma solo eventuale) per la governabilità

di Roberto D'Alimonte

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(IMAGOECONOMICA)

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5 maggio 2021
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3' di lettura

Collegio uninominale o premio di maggioranza? Dopo il fallito tentativo di tornare al proporzionale, se una riforma elettorale si farà, cosa poco probabile, la scelta cadrà tra un sistema con una quota consistente di collegi uninominali e un altro con premio di maggioranza. Il primo sarebbe simile alla legge Mattarella del 1993, il secondo alla Calderoli del 2005. Entrambi rafforzerebbero una delle caratteristica distintive della Seconda Repubblica e cioè l’incentivo per i partiti a formare coalizioni prima del voto per massimizzare le probabilità di vittoria. Rispetto al sistema in vigore, entrambi aumenterebbe la probabilità che le elezioni determinino un vincitore con una maggioranza assoluta di seggi e quindi decidano chi governa.

Ma ci sono differenze importanti tra collegio e premio. La prima sta nella natura delle coalizioni pre-elettorali. Con il collegio i partiti sono “costretti” a scegliere candidati comuni, collegio per collegio, e a dividersi le candidature in base alla loro forza relativa. In un sistema molto frammentato come il nostro la scelta di candidati unitari e la spartizione dei collegi sono operazioni complicate e conflittuali. Con il premio tutto questo non è necessario. Ogni partito della coalizione si presenta con il suo simbolo e con la sua lista di candidati. Gli elettori votano il partito, il candidato e la coalizione insieme. È tutto più semplice e rispettoso della autonomia dei singoli contraenti il patto di coalizione. Per questo ci sentiamo di dire che in questa fase storica, e in questo contesto multipartitico, un sistema elettorale a premio di maggioranza sia più adatto al nostro Paese rispetto sia al sistema attuale che a un sistema con una quota più consistente di collegi uninominali. Non è un caso che questo è il tipo di sistema con cui abbiamo assicurato una decente stabilità nei comuni e nelle regioni a partire dal 1993.

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L’altra differenza importante tra collegio e premio sta nell’effetto disproporzionale associato all’uno e all’altro. Entrambi sono sistemi capaci di trasformare una maggioranza relativa di voti in maggioranza assoluta di seggi. Sia la legge Mattarella che la legge Calderoli lo hanno fatto fino al terremoto prodotto dal M5s nel 2013. Ma lo fanno in modo diverso. Con il premio di maggioranza l’effetto disproporzionale ha un limite predeterminato. A chi vince viene assegnato un premio in seggi tale da farlo arrivare – diciamo – al 55 per cento. Se la soglia in termini di voti per far scattare il premio è posta al 40% e la coalizione con più voti arriva al 48% il premio è di 7 punti percentuali. Se invece la coalizione vincente prende il 40% di voti il premio è di 15 punti. E questo è il premio massimo.

Con il collegio uninominale non ci sono massimi. Più alta è la quota di collegi prevista dal sistema, maggiore è il potenziale di disproporzionalità, e quindi maggiore è il premio in seggi che va al vincente. Due esempi nostrani: nel 1994 alla Camera con il 37,7 % dei voti i Poli di Berlusconi presero il 61,8 % dei seggi maggioritari; nel 2001 la Casa delle libertà al Senato con il 42,5 % dei voti ottenne il 65,5% dei seggi. Il risultato finale fu diverso perché la legge Mattarella prevedeva il 25% di seggi proporzionali e lo scorporo. Ma la disporporzionalità prodotta dai collegi uninominali è un fatto. E potremmo continuare con esempi francesi e britannici.

Nel contesto frammentato in cui ci troviamo non è possibile prevedere quale sarebbe l’esito del voto con un sistema come quello francese che piace a molti o anche solo con un sistema con più collegi uninominali rispetto al Rosatellum in vigore oggi, come piace a Letta. Entrambi potrebbero generare una maggioranza molto ampia per chi vince e questo accadrebbe con certezza a favore del centro-destra se per esempio Pd e M5s non si alleassero. Una maggioranza tanto ampia grazie alla quale l’elezione dei membri del Csm e della Consulta spettanti al Parlamento non dovrebbe essere concordata con l’opposizione. Ma quale sistema a premio di maggioranza? Sono convinto che il migliore sia un sistema a due turni. Il secondo turno però non piace a tutti. Ma una soluzione di compromesso ci sarebbe. È un sistema in cui il premio viene assegnato alla coalizione che prende più voti al primo turno a patto che arrivi almeno al 40 per cento. Il secondo turno scatterebbe solo se nessuna delle coalizioni in campo arrivasse a quella soglia. Anche così il sistema potrebbe funzionare. Sarebbe comunque un modo per dare una maggioranza assoluta di seggi a chi ottiene più voti, utilizzando sia le prime che le seconde preferenze degli elettori.

Per fermare il declino, l’Italia ha bisogno di uscire dalla trappola della instabilità dei suoi governi. Un buon sistema elettorale non è una condizione sufficiente, ma è un ingrediente essenziale.

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